“Imaginaerum” è la settima fatica in studio dei Nightwish. Il disco è un concept album che racconta la storia di un anziano musicista affetto da demenza. La vicenda si svolge attraverso gli unici ricordi del protagonista che, sul punto di morte, rammenta solo il periodo della propria infanzia. La figlia Gem cercherà di fargli riacquistare lucidità prima della sua scomparsa.
“Imaginaerum” è anche un film bastato sulla storia del disco: effettivamente la massiccia presenza dell’orchestra, di cori, e di certi arrangiamenti, fanno sembrare l’album una via di mezzo tra un musical e una colonna sonora.
Come il precedente “Dark Passion Play”, “Imaginaerum” ha una produzione roboante e perfetta, contornata da una ottima esecuzione dei musicisti. Fin qui tutto bene, dunque.
Quello che mi lascia un po’ perplesso, dopo diversi ascolti, è il songwriting. L’uso continuo e costante dell’orchestra sembra quasi voler abbagliare l’ascoltatore, nascondendo un’appena sufficiente vena compositiva di base. Intendiamoci, in “Imaginaerum” non vi è nulla di cacofonico, ma l’impressione è quella di trovarsi di fronte a delle canzoni solo “carine”, destinate a non lasciare il segno, benché ricche di suoni e influenze negli arrangiamenti.
Il singolo apripista Storytime, è una popsong che potrebbe ricordare gli Abba: orecchiabilissima e immediata, si fa canticchiare fin dal primo ascolto. Apprezzabile ma niente di trascendentale. Cori e orchestra sembrano quasi superflui. Molto cinematografica la seguente Ghost River che vede duettare la cantante solista Annette Olzon col bassista Marco Hietala: song azzeccata e apprezzabile. Canzone atipica per i Nightwish Slow, Love, Slow dal retrogusto jazz, che sembra condurci nei tipici music-club americani.
Il brano meglio riuscito del disco, per chi scrive, è senza dubbio Scaretale, che liricamente parla delle paure fanciullesche del protagonista: brano da colonna sonora, ricco di cambi d’atmosfera e caratterizzato da un’ottima interpretazione della Olzon, finalmente più personale. A proposito della bella cantante svedese, non posso dire di apprezzarla fino in fondo: dotata di una vocalità appena discreta, a parte qualche raro spunto, non riesce a distinguersi dall’anonimato. Se non altro, la precedente singer Turunen, col suo approccio operistico (pur non essendo un fenomeno), donava ai Nightwish un qualcosa in più.
Il resto del disco, purtroppo, non si fa ricordare per momenti memorabili, con orchestra e cori, che a volte richiamano troppo da vicino i brani dei precedenti album. Non basta qualche arrangiamento diverso, o scelta stilistica particolare, come i cori di bambini che ogni tanto fanno capolino, o l’approccio folk di I Want My Tears Back, per innalzare “Imaginaerum” a un livello di eccellenza.
Deludente la tanto sbandierata suite Song Of Myself: presentata prima dell’uscita del disco, come un brano epico di 20 minuti, mentre ne dura circa 13, non riesce a decollare, complice un coro poco incisivo e una certa staticità musicale. Oltretutto a circa metà durata, la musica lascia spazio a una parte narrata (dal protagonista) che risulta alquanto noiosa.
La conclusiva title-track non è altro che una riproposizione orchestrale delle melodie delle canzoni dell’album.
“Imaginaerum” non è, a mio modo di vedere, un disco degno della fama conquistata dai Nightwish nel corso di questi ultimi anni. Sicuramente, sono pronto a scommetterci, l’album venderà molto bene ma, per quel che mi riguarda, nel metal sinfonico, sia a livello underground che mainstream, si trova molto di meglio.