Dopo una tanto regolare quanto sudata gavetta, consistente in uno split ed un lavoro autoprodotto, i No More Fear arrivano alla chance del primo disco “vero” con tensione e motivazioni. E’ così che, sapienti di non poter sprecare la loro occasione, i cinque giovani abruzzesi si prendono tutto il tempo necessario (tre anni circa) e danno alla luce un disco di qualità incontestabile, rara personalità ed invidiabile presa.
Dieci brani per quarantacinque minuti di singolare death metal melodico che, grazie alle idee ed all’intelligenza dei nostri nel non appellarsi alle solite abusatissime influenze, diventano un ascolto prezioso e mai minimamente noioso. Le composizioni mostrano una maturazione stilistica palese rispetto alle prime due uscite grazie ad un songwriting, sì geniale e sorprendente, ma anche sobrio nel non uscire mai dai propri binari. In questa maniera ‘Ethnoprison’ viene ad essere un’opera stilisticamente coerente, senza la necessità di inventare la trovata fuori luogo per spezzare una monotonìa che, pur dopo ripetuti ascolti, in questo caso non entra mai in gioco. La formula utilizzata dai nostri, seppur dosata in maniera intelligente e mai banale, vede una forte regolarità nell’alternanza di parti veloci ad altre più malinconiche e riflessive. Filo conduttore di ogni veste assunta dai nostri è quella acida, leggera e mai invadente melodia che, insinuandosi tra una sezione ritmica splendidamente asimmetrica ed il ben assortito bacino di riff, reca fascino e personalità alle tracks. Qui, dove la ruffianeria non è neanche uno sbiadito fantasma e l’onestà compositiva la fa da padrona, non vengono mai chiamati in causa i soliti nomi e diventa un piacere ascoltare più primissimi Dark Tranquillity che ultimi In Flames, più Nocturnus che i soliti At The Gates. Il death proposto dai No More Fear viene ad essere un calderone di sensazioni spontanee e sincere, servito con l’artiglieria pesante di chi sa di proporre un disco metal e la sensibilità di chi per esprimere il disagio non risparmia l’utilizzo dosato di parti acustiche, teatrali e profonde (grazie anche all’intervento clean vocals). Completato da una produzione a cinque stelle ad opera del binomio Giuseppe Orlando/Davide Rosati, ‘Ethnoprison’ viene ad essere l’ennesima perla tricolore meritevole di rispetto ed ascolto da chiunque mastichi ed apprezzi il genere.