Secondo platter per gli spagnoli Northwind che in questa occasione ampliano la loro line-up con l’inserimento della
tastierista Helena Pinto, rispetto al debutto dell’anno scorso i nostri migliorano notevolmente la produzione e il
song-writing confezionanado un prodotto qualitativamente notevole.
La scena spagnola è cresciuta esponenzialmente negli ultimi tre anni, a gruppi storici come i Tierra Santa si sono uniti
nuovi act tra cui Dark Moor, Avalanch, Abyss, Dragonlord e sopratutto i giovani Northwind che del metal spagnolo potrebbero
diventare in futuro delle vere punte di diamante.
Al gruppo non mancano certo le qualità per produrre un power sinfonico di tutto rispetto e già dalla iniziale “Cuando salga
el sol” il gruppo si cimenta in riff veloci e stacchi tastieristici dal sapore neoclassico che però mi sembrano ancora troppo
vicini ai Rhapsody degli esordi (non so se per tutti questa vada presa come una critica) senza tentare la minima
sperimentazione fuori dai canoni del genere.
Si prosegue tra sonorità solari e melodiche a caccia di ritornelli epici e corali, un esempio sono “El oraculo” e “La moarada
de Celler” dove incontriamo anche l’intrusione vocale di Victor Garcia degli Avalanch, i pezzi risultano più che funzionali
ma in certi tratti i nostri commettono dei leggeri errori di ingenuità scadendo nel pacchiano o nello stereotipo delle
atmosfere solite medievali.
Il disco è piacevole ma se ci pensate questo sound lo abbiamo inventato noi e vedere gruppi stranieri copiare a piene mani
dagli alfieri del metal sinfonico tricolore non è un gran spettacolo, comunque registro anche dei capitoli pienamente
convincenti nel lavoro dei Northwind come la drammatica “Maestro de la nada” o la quasi progressiva “A las puertas del Eden”
che mi dimostrano come il gruppo sia degno di nota appena si scrolla di dosso l’onere di scopiazzare Turilli & co.
Ottime anche le conclusive, peccato per questo, “El ritorno del Rey” e “Cielo gris” che secondo me vanno considerate come una
traccia singola e riescono a mantenere alta l’attenzione per quasi dieci minuti grazie a strutture crescenti e luminose
dominate da una sezione ritmica più varia e ariosa che evita la doppia cassa continua.
Il mio voto può essere visto come un bicchiere mezzo vuoto, invece io lo vedrei come un bicchiere mezzo pieno, il gruppo non
pecca di tecnica o abilità compositiva, semplicemente la personalità del song-writing è ancora mascherata da stilemi triti e
già inflazionati, mi rendo conto che ormai il genere sia stato fondato e definito ma non per questo bisogna uniformarsi.
Con l’arma del cantato in spagnolo, con qualche esperimento artistico in più e senza i soliti ritornelli alla “Gloria
perpetua in this dawn of victory” che sanno scrivere meglio altri il cd in questione avrebbe suscitato ben altri responsi.
Un gruppo in crescita che vale la pena di tenere sotto controllo.