Ecco un album che gli amanti del black più sporco, malato e autodistruttivo ameranno di sicuro. L’etichetta di culto No Colours (una delle più attente nella ricerca di talenti nel campo black) non sbaglia neanche stavolta con un gruppo che alla prima produzione sforna un full-length di tutto rispetto. Si chiamano Nyktalgia, si sono formati nel 2002 e provengono dalla Germania. Il loro lavoro è quanto di più vicino possa esser creato alle prime opere di Burzum.
L’ascendenza del gruppo sembra derivare da Filosofem, sia per i malati riff che scuotono tutta la realizzazione, che per la voce, davvero simile a quella del noto Conte Grishnackh. Le canzoni, così scarse di numero, ma così intense sul piano emotivo, sono tutte molto lunghe e venate da un incedere malsano e lugubre.
I tempi alternano passi lenti con stacchi molto veloci che donano dinamismo all’opera, evitando che questa tocchi le note della noia. Le melodie si ripetono all’interno della stessa canzone, creando vortici sulfurei dove l’animo non può che rimanere irretito. Queste caratteristiche rientrano a pieno titolo in quella che è la tendenza stilistica di altri gruppi del momento, soprattutto americani, come Leviathan e Xasthur, ma già al primo lavoro i Nyktalgia dimostrano una chiara consapevolezza della proprio identità e non compiono l’errore di inciampare nella copia o nella mediocrità. Il loro mood, sempre così graffiato e impuro, nasce da una coscienza intimista, capace di far rivivere le tormentose ore notturne nei lamenti angoscianti e insistenti di pezzi intinti nella pece. È sbalorditivo trovarsi un gruppo così promettente già al primo lavoro, ma questo non deve compromettere la valutazione della loro musica, così abile nello scatenare emozioni violente e di spasmo.
I Nyktalgia sono riusciti a creare a fine 2004 la trasposizione musicale perfetta dell’incubo della morte, nel suo aspetto più miserabile, nella sua veste più attraente. Per chi non teme l’incedere lento e perentorio della fine dei giorni.