Ritorna dopo un lungo periodo di silenzio ben tre anni, tanto che stavo per darlo per sciolto, il gruppo di Kevin Moore e Jim Matheos OSI. Nato in sordina ormai sei anni or sono questo duo, supportato da svariati ospiti in studio, si è ritagliato uno spazietto nel vastissimo panorama musicale metal, ma non solo. Se infatti la provenienza dei due artisti è prettamente metal, grazie all’ostinato apporto di Kevin Moore nel miscelare campionamenti e musica col PC a strumenti veri, la direzione degli OSI è quantomeno originale riflettendo quel gusto e amore nel voler fare la musica che ci si sente.
L’abbandono di Moore dal teatro del sogno svariati secoli fa, e la sua totale riservatezza hanno per certi versi mitizzato il personaggio, considerando geniale e originale qualunque cosa faccia.
Pur amando la musica del tastierista (ma ha più senso chiamarlo tale?), e seguendo ogni suo lavoro e collaborazione, non sono riuscito ad amare particolarmente questo nuovo lavoro, vuoi perchè quasi mi aspettavo un prodotto del genere, vuoi perchè arrivati al terzo album non ha quasi cambiato nulla nel suo modo di comporre che sembra uguale a sè stesso, immutabile, statico: un susseguirsi di campionamenti e sfumature tastierististiche, ma nulla di più. E’ vero, questo progetto è anche opera di Jim Matheos, ma che ad onor del vero poco apporta se non qualche riff, anche se più presente che in passato.
Mi sembra veramente poco per gridare ad un grande ritorno. Se il primo album aveva dalla sua la novità, una certa freschezza compositiva e la minima unione tra il prog metal e le campionature tanto amate da Moore, questo nuovo riflette solo il desiderio di pubblicare, certo, una musica fatta col cuore, e si sente, ma che non infiamma l’ascoltatore, che non riesce a far propria la musica ivi contenuta. L’impressione che ne ho avuto è stata di quelle musiche che ti accompagnano in quel momento preciso in cui le escolti e a fine album dici bè passo ad un altro.