Dopo 4 anni dall’ottimo album di esordio, performances live da capogiro ivi incluso il Gozzommetal del 2007 e apertura agli Europe a Milen, n’ more, i PLANETHARD si ripropongono in mezzo all’oceano di album in uscita con il loro NO DEAL. Niente mezze misure. E sti cazzi. A confermarlo, i solchi dei numerosi cerchi concentrici che questa goccia, caduta in mezzo all’oceano, va a formare tra le acque. Li avevamo lasciati che erano una brillante band hard rock dal sound cazzuto ma cmq, per certi aspetti, diciamo così molto happy, e li ritroviamo completamente stravolti, non già per scelte strategiche di mercato, ma per quella che è una più che percettibile crescita e maturazione artistica, sia individuale, che conseguentemente, d’insieme.
NO DEAL esce per la RNC Music / ORION’S BELT ed è distribuito dalla SELF. Consta di 12 tracce, e la decima fa subito l’occhiolino, come a dire “ehi tu, si, sono proprio io, una canzonaccia di quell’isterico di Prince, vieni a sentire come mi hanno rifatto la piega ‘sti qua!”. E chi sono io per dire no? :-P
Tanta roba, ragazzi, veramente tanta. Nel giro di due giorni, me lo sarò ascoltato almeno 8 volte. Le volte necessarie per analizzare, scomporre, ricomporre ed apprezzare appieno un’opera così densa di vissuto, studio e self-improvement, e che infine ha superato perfino la decisiva prova OOTW, cioè Out Of The Window! :-P
Molte sono le cose che saltano subito all’occhio rispetto al debut album CRASHED ON PLANETHARD: mood molto meno happy, chitarrona grassa e scordata (che Marco Dandy D’Andrea si sia votato al Dio Zakk? :-P), presenza massiccia di cori, molta più fantasia a livello di sezione ritmica, soprattutto per quel che riguarda la batteria. Se C.O.P. ci aveva messo davanti a 4 ragazzi dotati e con l’hard rock dei propri idoli che gli ronzava ancora nelle ‘recchie, NO DEAL dipinge 4 ritratti ben definiti di musicisti che stanno studiando, non per la tecnica fine a sè stessa, ma per metterla al servizio della melodia, imbrigliando emozioni che impattano da loro verso l’ascoltatore.
Ride Away. Non mi dilungherò ad elencare ridicoli ed insensati riferimenti e somiglianze con altri gruppi o musicisti. Mi limiterò ad esaltarne i cori del ritornello, che mi hanno fatto venire la pelle d’oca, e l’immaginario che si staglia man mano durante l’ascolto, non solo grazie alla melodia, ma anche al testo: una vera e propria ode alla musica, una strada tutt’altro che lineare e continuativa, perchèdopo tanti chilometri fatti…
“There’s another road
On the other side to ride away and say goodbye
No destination
There’s another road
On the other side to ride away and say goodbye
Wherever we may roam, for a lifetime“.
This World. E qua si inizia a pestare, non poco. Perchè il mondo fa schifo, perchè
“Men are still saying their false prayers and
Everyone’s ready to sell their moms“.
Chitarra e voce la fanno da padrone, e quest’ultima, con i molteplici registri stilistici utilizzati, ben si adatta al messaggio che il testo vuole lanciare. Disagio, rabbia, che anelano comunque a un cambiamento.
Abuse. Ritmi serrati, 3 minuti e 18 secondi di schiaffoni da parte della coscienza, che un pò divertita, un pò incazzata, dice
” You’ll be in my hands
I’m on my track to erase your smile
Sadistic bastard
Life is close to the end!“.
Degna di menzione la partecipazione di Masha Mysmane degli Exilia, che intreccia il proprio timbro e colore con quello di Marco, con una resa particolarissima. Stupendo l’assolo di chitarra.
Wings In Vain. I toni qui si incupiscono, ed emerge tutta la disillusione che i nostri tempi ci caricano sulle spalle, precludendoci non solo il volo, ma addirittura anche il più semplice dei viaggi introspettivi.
“My journey is over and I haven’t found my meanings yet
I failed, got to come back to… back to me, again“.
Siamo come tori in un’arena, ma per quanto forti e fieri, le percosse di Joselito e Belmonte sono troppo violente, ed il clamore della folla è assordante. E il motivo di flamenco inserito a metà del pezzo fa tirare il fiato prima della ripresa dell’ahimè vana lotta.
To Tame Myself. Tiriamo il fiato. Grazie al cielo, la ballad. Perchè il mese prossimo compirò 30 anni, e l’infarto tra le donne si fa sempre più frequente e precoce. Questo pezzo è dolcissimo, il ritornello non poteva essere più azzeccato, eccellente lavoro di armonizzazioni, una vera e propria quiete dopo la tempesta, un invito a
“To wake up in the sun
Where I don’t feel undone“.
La semplicità del motivo di piano di Alessandro Del Vecchio impreziosisce il pezzo, donandogli quel non so che di non comune, che te la stampa in testa e non te la toglie più manco un elettroshock.
Nothing For Free. Niente è aggratise. Una voce quasi radiofonica inizia a riflettere sulla propria vita, per poi cambiare completamente registro. Una canzone che prende, scuote via il torpore con la sua variegatezza, perchè
“…a whole life cannot be enough, not enough
So I have to say my last words
I’ve to recover myself from a fall
I do have to try until death comes“.
Estremamente interessante la prova, e l’interpretazione di Sivo. La roboante chitarra di Dandy conclude il pezzo ed introduce
Another Myself, che pare quindi essere un naturale prosieguo della precedente. Perchè tutto ha un prezzo a questo mondo, è vero, ma la musica, una delle arti nobili, è in grado di rivelare che
“I’ve got a silent demon living in me
painful stranger, keeper of fears
Stealing my voice and my name
He wants to be… another myself“.
Una ballad, dai ritmi e suoni inusualmente sostenuti e robusti per essere definita tale, ma pur sempre una ballad. Nessun giuramento, nessun accostamento o personificazione con donnine di sorta o simili. Solo tanta, tanta gratitudine. E voglia di continuare a salire sul palco.
Mass Extermination. Abbiamo mai vissuto due giorni di fila senza uno scontro? Quando intorno si ha solo un tutti contro tutti, imbracciare un fucile e difendersi, se non addirittura attaccare per difendersi, è inevitabile.
“Feeling every hour, every second
On the graves that I dug out
Mass extermination, aberration – I want to end it all“.
Ritmo serrato e ottimo guitar work di Dandy. Sarà perchè è mia abitudine leggere per bene anche i testi, ma il ritmo della batteria, costante e calibratissimo, mi richiama alla mente la detonazione di un proiettile, uno dietro l’altro, proprio come durante uno sterminio di massa.
Empty Book of Friends.
“Don’t hide your life, dirty grime, no more lies“.
Una bella galoppata, dai toni malinconici, per scappare dai rimorsi. Cori d’effetto, e raffinata ricerca di suoni di chitarra estremamente emozionali.
Sign of the Times. Accordatura cattivissima, bei giochetti di piatti, e Sivo che ci mostra di quanti registri stilistici è capace. Suggerisco solo di ascoltare prima questa, e poi la versione dell’autore originale.
Until Tomorrow Comes. Chapeau al battipelli, innanzi tutto. Una canzone che scandisce i battiti di un cuore in pena per un amore che sembra ancora sgomitare alla grande tra le sillabe fi / ne. Nessuna controindicazione: nè crisi iperglicemica, nè fegato trifolato alla veneta. Solo, il desiderio di voltare pagina al più presto, senza strascichi nè scene da tragedia greca
“...until tomorrow comes“.
No Reason to Lie. Ancora un’accordatura abbastanza evil, quel tanto da far aggrottare le sopracciglia e chinare la testa a 45 gradi per darsi l’attitude hard rock necessaria. I cori si riconfermano la grossa novità nonchè elemento distintivo di questo album, che incorniciano la splendida e graffiante voce di Sivo.
“Addicted to nothing
Where “nothing” is filth
Another day along with my soul
It’s the worst revenge“.
Senza trucco e senza inganno. Batterie tutte suonate. Una sola chitarra, con pochissime sovraincisioni, giusto quelle che i ritornelli richiedono e bon. Basso presente all’appello, anche se, considerando l’obesità delle chitarre, forse andava messo all’ingrasso anche lui – lasciate perdere, sono quisquilie da segaiola, queste. Stile indefinito ed indefinibile, ‘sti ragazzi suonano quel che piace loro senza particolari vincoli di parentela con gruppi, musicisti o strumentisti. Variegati come un gelato all’amarena, ma che al palato non si limita ad offrire solo questo gusto. Occhio anche ai testi, che tra un’immagine e l’altra, danno un quadro spontaneo, vivido e tangibile della realtà quotidiana in tutti i suoi aspetti. E diciamoci la verità, già i testi delle canzoni in media non se li caca nessuno… Quindi, non è cosa da poco che oltre alla musica, anche questi riescano a suscitare interesse ed emozioni.
Devo aggiungere altro? Devo intimarvi di cagar fuori gli euro necessari per comprarvi questo disco? Spero di no, spero che il messaggio sia passato senza il bisogno che io ve lo dica.
Alla prossima!