Il polistrumentista Ray Gilman dà un seguito al precedente “Over Time” del 2009 con “Let It Go”, disco interamente scritto, prodotto ed eseguito dallo stesso Ray. Nonostante il contenuto vero e proprio non sia effettivamente nulla di particolarmente innovativo e speciale ad aggiungere un punto positivo è senz’altro il fatto che questo stimato personaggio abbia innalzato quest’album completamente da solo, suonando tutti gli strumenti e dando vita ad un album molto personale ispirato da una serie di tragedie familiari.
Il disco inizia con “Tell Me What I Want To Hear”, la prima delle dieci tracce che classificherei con un rock piuttosto melodico dalle venature pop e progressive; con l’opener il ritmo è sostenuto e mette in risalto con il finale una splendida linea solista di chitarra che non mancherà di accompagnare il resto dei brani, a partire proprio dall’imminente inizio della successiva “Workin’”.
Il timbro vocale di Ray mi rievoca vagamente lo stile di Phil Collins con i vecchi Genesis, mentre per quanto riguarda il lato strumentale troviamo un groove molto variabile che passa da riff molto ritmati a parti più statiche per rivedere ancora assoli virtuosi.
La title track “Let It Go”, ultimo brano registrato cronologicamente, viene nuovamente introdotta da un gustoso solo di sei corde, per poi stabilizzarsi su una ritmica piuttosto statica rialzata a tratti alterni dallo stesso fattore iniziale, la chitarra. Trovo infatti che senza questo elemento, nonostante le idee siano apprezzabili, il cd sarebbe stato troppo statico ed a lungo andare stancante.
Al primo ascolto nessuna traccia mi rimane impressa in maniera particolare e saranno le passate successive a darmi la conferma che per quanto gradevole questo album è sorretto principalmente dalla linea di chitarra, in secondo luogo dal resto.
La quarta traccia è intitolata “Lightin’ Boogie” e consiste in un ritmato strumentale che riesce a tenere alto il morale dando ottima prova di una tecnica chitarristica assolutamente niente male; con “Far Away” invece torna la voce leggermente armonizzata di Ray su una ritmica arpeggiata acustica sulla quale va ad intersecarsi uno dei suoi classici stacchi solisti per poi tornare nuovamente al giro di base. Brano calmo ed intenso che non ha particolari picchi emotivi.
Si prosegue con “Time To Leave” tornando ad una ritmica più attiva ma che non riesce ad entusiasmarmi più di tanto, forse per il fatto che le due strofe non fanno altro che alternarsi per tutto il brano senza alcun sconvolgimento o variante degna di nota.
Con “Troubled Mind” torna la chitarra come seconda voce, duettando quasi con la voce vera e propria per un brano che riesce a trasmettere qualcosa in più rispetto al precedente, grazie anche ad un solo finale che conclude il pezzo in dissolvenza molto apprezzabile.
“Friends Until The End” dà vita ad una ritmica base che rimane costantemente attiva e che trasuda emozioni più positive ed allegre rispetto ai brani precedenti che rappresentavano per l’appunto tracce più tristi; in questo pezzo l’accompagnamento è costituito da una sezione ritmica acustica.
Il penultimo brano della tracklist è “Lost”, ben strutturato ed a mio parere è anche quello che contiene la miglior parte solista di chitarra che ancora una volta conclude la traccia svanendo in dissolvenza, mentre il resto della ritmica resta per tutto il tempo melodico e gradevole; il disco viene concluso con una buona strumentale dal titolo “Power Struggle” che vede finalmente al suo interno un notevole cambio ritmico che passa da una linea di accompagnamento più statica ad un sound nettamente più duro e ricco di parti soliste provenienti da chitarra elettrica ed acustica e tastiera, per poi terminare con un riff molto energico, fin troppo a dirla tutta visto il resto del cd.
Se tutto il disco fosse stato strutturato come l’ultima traccia sarebbe stato senz’altro più interessante e coinvolgente, anche perché effettuando più ascolti la voglia di sentirlo è andata sempre calando; non è messa in discussione la tecnica del musicista che ha dimostrato di avere un ottima padronanza degli strumenti ma semplicemente uno stile di composizione che la maggiore rimane piuttosto statico e che non sorprende quasi mai con cambi di tempo o quant’altro.
Concludendo abbiamo tra le mani un cd di buona qualità che tuttavia lascia un po’ di amaro in bocca per chi conosce il musicista e che non entusiasma oltre limite, pur avendo idee interessanti al suo interno.