Ho ascoltato questo album svariate volte e l’unico aggettivo che meglio lo definisce è “affascinante”. La scena musicale “nordica”, si sa, è sempre ricca di sorprese e ricca, soprattutto, di uscite discografiche per “palati fini”. Tralasciamo il death metal melodico (non mi piace parlare di funerali) e parliamo invece di quel progressive rock a volte malincolico a volte solare e scherzoso. I Ritual sono tutto ciò con l’aggiunta di tanto folk e “Ritual” è il loro debut album (quindi tralasceremo tutte le seguenti uscite discografiche successive a questa) rimasterizzato e distribuito in tutto il mondo a differenza di quello targato 1995 e, se mi è permesso, molto “avanti” rispetto ad uscite discografiche (anche attuali) ben più blasonate.
Non è facile inquadrare questi loschi figuri in una scena musicale….. certo il sound è molto settantiano, è fresco ed è armonioso, inutile quindi citare le maggiori prog rock band di quei tempi a cui si ispirano. A questo si aggiunge una componente di musica folk (Fredrik ha studiato gli strumenti “di un tempo”, recita la biografia) che dona al tutto un alone tanto misterioso quanto affascinante. Essere accarezzati da così tante sfumature musicali è un piacere per l’udito, inutile negarlo.
Ascoltare delle vere e proprie “danze” costruite sulle melodie di flauti irlandesi, ascoltare la voce un po’ aspra di Patrick che spesso è sovrapposta a delle backing vocals che ricordano molto i Queen, ascoltare vere e proprie rilettura in chiave “moderna” di musica ormai quasi scomparsa, mistica se vogliamo, (ma fino ad un certo punto) è, ripeto, affascinante ed anche spiazzante.
Ok ma voi volete la tecnica no?? Beh non aspettatevi chitarroni metal con soli lunghi 10 minuti, non aspettatevi batterie in doppia cassa, non aspettatevi acuti da castrato e non aspettatevi duelli estenuanti fra chitarre e tastiere. La tecnica qui c’è, in abbondanza, ma è nascosta così bene che si sposa perfettamente con la musicalità dei brani (diciamolo chiaramente, decine di gruppi di prog moderno sembrano pensare solo ed esclusivamente alla preparazione tecnica).
I ritual cercano di mantenere le distanze da tutto ciò per focalizzare il nostro ascolto esclusivamente su quelle dolci melodie folk-rock di cui sopra parlavo. Sicuramente ora, molti di voi, avranno già interrotto la lettura di questa recensione ma sappiate che è impossibile rimanere delusi da un disco così, da composizioni così fresche e mature, nonostante si tratti di un debut album.
11 composizioni, 11 modi sapienti di combinare prog rock, folk, pop e tanto gusto per la melodia, 11 tocchi di classe. Ascoltare gioielli come l’opener “Wingspread” movimentata e ricca di svariate sfaccettature, la allegra e danzereccia “The Way Of Things”, la stramba “Typhoons Decide” dalle melodie a tratti orientaleggianti, la moderna “Solitary Man” che con un salto temporale viaggia di circa 30 anni ricordandoci un pò i giorni nostri senza però abbandonare completamente il passato. E poi “Dependence Day” sorretta da dei flauti stupendi dai toni quasi fiabeschi, la lunga “Season of the Moominpappa”, l’ ecclettica “Big Black Secret” e la sognante “Power Place” che con delicatezza e maestria ci accompagna fuori da questo piccolo mondo creato, momentaneamente, dai Ritual.
Un passo obbligato per tutti gli amanti di queste sognanti sonorità; da avere, da ascoltare e riascoltare ad ogni costo.