Dopo qualcosa come 25 anni di carriera e innumerevoli cambi di line-up, i rockers australiani non si sono dati per vinti e sono ancora oggi fra di noi a presentarci la loro trascinante miscela di rock’n’roll, blues, alcool, tatuaggi e tanta passione: “Pain” è il sesto album in studio dei Rose Tattoo, ma esce ben 18 anni dopo l’ultimo vero disco della band, “Southern Stars” (il quinto, “Beats From A Single Drum” del 1986, in realtà era più che altro un lavoro solista del cantante Angry Anderson). Bisogna senz’altro dare atto a questa band di averci sempre creduto, come testimoniano le numerose reunion live degli anni scorsi, e chissà che questa non sia la volta buona per riprendere sul serio il discorso malamente interrotto a metà degli anni ’80.
Dal punto di vista strettamente musicale, c’è veramente poco da dire: se già conoscete ed apprezzate i Rose Tattoo, sapete benissimo cosa aspettarvi anche da questo nuovo album. Se siete invece fra quelli che ancora non hanno avuto modo di ascoltarli, allora preparatevi ad un’ora di puro, semplice, adrenalinico e sguaiato rock’n’roll, dominato dalla voce al vetriolo di Angry Anderson, dall’onnipresente slide guitar di Pete Wells e dai roboanti tempi in 4/4 ad opera di Paul DeMarco e Steve King. Certo, non c’è niente di nuovo sotto il sole, ma questo lo sapevamo (e sotto sotto, lo speravamo!) fin dall’inizio. Qua e là aleggia prepotentemente lo spirito degli AC/DC di Bon Scott, come ad esempio nella cadenzata “The Devil Does It Well”, ma anche questa non è una sorpresa, se consideriamo che negli anni ’70 lo stesso Bon Scott, insieme ad Angus Young, jammava spesso e volentieri con i Rose Tattoo.
In poche parole, “Pain” è un disco ottimo per i party in birreria, che non aggiunge assolutamente nulla a quanto già detto dai Rose Tatto, ma che farà sicuramente la gioia di chiunque ami l’hard rock pieno di blues ed energia. Rimane in ogni caso una gradita testimonianza della vitalità di un gruppo onesto, inossidabile e oramai leggendario.