Narra un’antica leggenda che la fenice risorge dalle proprie ceneri, ogni volta a vita nuova. Questo splendido mito può benissimo essere associato ai Royal Hunt, band che dopo l’abbandono del singer DC Cooper vedeva un lento e graduale declino che non prometteva nulla di buono. Ci sono voluti alcuni anni e diversi album piuttosto deludenti ma alla fine il gruppo di Andre Andersen ce l’ha fatta e come l’araba fenice è risorto dalle proprie ceneri riuscendo a comporre un disco dannatamente emozionante.
Come se questi ultimi cinque anni non fossero mai passati, Andersen dimentica gli album composti tra il 1999 e il 2003 e ritorna indietro nel tempo, riuscendo a creare un disco che unisce al suo interno le melodie di “Moving Target” e di “Paradox” con la velocità del debutto ”Land of broken hearts”. L’uscita dello storico chitarrista Jacob Kjaer è compensata dall’ingresso di Marcus Jidell (The ring) che, sin dalle prime note dell’opener “Break your chains”, dimostra di essersi inserito alla grande all’interno della band danese, portando nuova linfa vitale al sound dei Royal Hunt. Jidell si rivela un chitarrista molto dotato, capace di seguire senza troppi problemi le linee musicali composte da Andersen, ne sono prova, infatti, i tre brani strumentali presenti su “Paper blood” (“Memory Lane”, “SK 983” e “Twice around the world”) che lo vedono alternarsi in fase solista con il compagno Andre in una continua lotta alla ricerca della melodia. Per la prima volta dal suo ingresso all’interno della band, riesco ad apprezzare il lavoro svolto da John West dietro il microfono, autore di linee vocali assolutamente splendide e coinvolgenti che mi riportano indietro con la mente ai tempi di “Moving Target”. E non potrebbe essere diversamente perché basta dare un ascolto a “Never give up” o alla semi ballad ultra dolce e melodica “Kiss of faith” per rendersi immediatamente conto che la band ha fatto un piccolo passo indietro, un passo verso le sonorità che li hanno resi famosi, un passo verso quelle sonorità che ancora oggi, a distanza di anni, riescono ad emozionarmi non poco. Altro brano assolutamente fantastico è il classico lento presente in ogni album dei Royal e le note di “Season’s change” mi circondano con la loro bellezza: splendidi cori accompagnano per gran parte del pezzo un John West dannatamente ispirato e carico di pathos che riesce finalmente ad oscurare l’ombra di DC Cooper, mentre Jidell si rende esecutore di un solo incredibilmente bello, messo ancora più in risalto dalle ottime orchestrazioni di Andersen che non smettono per un attimo di impreziosire il pezzo e renderlo ancora più emotivo.
Insomma, ne è passato di tempo, ma dopo una serie pressoché infinita di dischi deludenti, questo nuovo “Paper blood” è il cd che segna il ritorno in pompa magna dei Royal Hunt, un album che racchiude al suo interno tutti gli elementi che hanno reso famosa la band danese. Se vi siete emozionati con “Moving Target”, se come me avete pianto ascoltando “Clown in the mirror” e vi siete esaltati per i pezzi di “Land of broken hearts” (la title track su tutti) allora fate vostro “Paper blood” non ne rimarrete assolutamente delusi.