I Saxon, oggi come oggi, sono probabilmente il gruppo heavy metal “storico” più in forma della scena. Sebbene si possa eccepire che, di fatto, la luce dei riflettori sulla compagine di Barnsley non si sia mai realmente spenta neppure nei momenti di minor fortuna commerciale, la “seconda giovinezza” che Biff Byford e soci stanno rivivendo da almeno un decennio è una splendida realtà sotto gli occhi di tutti.
Questo nuovo “The Inner Sanctum” non fa che confermare ogni possibile commento positivo esprimibile riguardo agli ultimi brillanti lavori, rispolverando in misura maggiore rispetto a “Lionheart” le mai sopite influenze rock’n’roll (“I’ve Got to Rock to Stay Alive”, “Nowhere Fast”), premendo ancor di più sull’acceleratore (la strabiliante accoppiata “Need for Speed”/”Let Me Feel Your Power”) e dando lezioni di stile inserendo due canzoni tanto epiche quanto diverse fra loro (“Red Star Falling” e “Atilla the Hun”). Trent’anni di carriera e non sentirli.
Non deve essere facile, per le cosiddette “nuove stelle” dell’heavy metal, ritrovarsi immancabilmente offuscati da questi “vecchietti” che si tolgono persino lo sfizio di inserire anche stavolta duelli di assoli sconvolgenti (in grado di insidiare il titolo Priestiano di campioni della specialità) e che per giunta non paiono aver alcuna intenzione di ritirarsi a breve.
Non è finita: “State of Grace” è già una grandiosa opener dei concerti, ed “If I Was You” è un riuscito singolo e videoclip. Che altro si può desiderare da un disco?
D’accordo, “Ashes to Ashes” è poco più che un filler ed il rientrato Nigel Glockner in qualche passaggio lascia rimpiangere i suoi ultimi più dinamici predecessori, ma non troverete sugli scaffali molti altri dischi rocciosi, potenti, personali ed inconfondibili come “The Inner Sanctum”, se non magari andando a ritroso nella discografia dei cinque inarrestabili inglesi.