L’universo prog metal è costellato di gruppi splendidi, ricchi di feeling e d’inventiva. Gli Shadow Gallery sono una di queste band e dopo circa quattro anni di silenzio ritornano alla grande con “Room V” disco che si rivela come uno degli album più belli mai scritti in assoluto nella storia del combo americano. Nonostante l’ultima release degli Shadow Gallery sia “Legacy” (2001), questo nuovo disco ci riporta indietro ai tempi di “Tyranny” (1998): se vi ricordate, infatti, l’appena citato cd era suddiviso in due capitoli. Ebbene “Room V” è la sua diretta continuazione e ci regala il terzo e il quarto atto.
Per gli amanti del prog questo platter è assolutamente una chicca da non perdere: nel corso degli anni gli Shadow Gallery hanno saputo dimostrare al mondo intero la loro bravura con gli strumenti suonando album a mio avviso eccezionali con canzoni pregne d’emozioni e cariche di melodia e di pathos. Allo stesso modo “Room V” non si fa di certo battere dai suoi predecessori, anzi segna un successivo passo in avanti per la band a stelle e strisce.
Come ogni disco prog che si rispetti “Room V” è un concentrato di puro sfoggio di tecnica che viene ad ogni modo mascherata dalle ottime melodie e dalle pregiate orchestrazioni che i sei musicisti riescono a creare. Ci sono tantissimi pezzi strumentali di breve lunghezza, come l’opener “Manhunt”, che in più di un’occasione traggono ispirazione dai Dream Theater di “Images and Words” (esempio l’assolo centrale di “Death of a mother”) oppure dai Symphony X di “The odyssey” ed è appunto il caso di “Birth of a daughter”, brano che fa il verso alla parte strumentale della title track dell’ultima release di Romeo e soci. Il quarto atto si apre con “Seven years” brano che vede Brendt Allman protagonista assoluto di uno splendido solo per chitarra che introduce la brevissima “Dark” che altri non è che un veloce interludio di tastiera che ci conduce per mano verso gli ultimi quattro pezzi del disco, incredibili mazzate da circa otto minuti di durata ma che si dimostrano in assoluto come i più belli e i più interessanti di tutto questo nuovo “Room V”.
Mike Baker alla voce si svela ancora una volta ispirato nel creare melodie ricercate e pezzi come “Comfort me” e “The andromeda Strain” m’inchiodano davanti alle casse dello stereo complici anche le orchestrazioni di Chris Ingles e i soli melodici e dannatamente ispirati di Brendt Allman che, uniti in più di un’occasione a momenti più intimi ed introspettivi, creati dalle note del flauto del bassista Carl Cadden-James, mi rapiscono e mi conducono nel magico mondo creato dagli Shadow Gallery. Uno dei pezzo più ispirati dell’intero album si rivela la lenta “Torn” canzone piuttosto triste che in più di un’occasione vede Allman protagonista di soli che dire splendidi è dire poco, mentre Baker è autore di una linea melodica affascinante e sognatrice; “The archer of Ben Salem” è l’unica vera e propria canzone di tutto l’album che in qualche maniera ricorda il prog vero e proprio, quello fatto di tempo dispari, continui cambi di tempo e battaglie furiose in fase solista tra chitarra e tastiera. Splendida inoltre è la title track che mi rimanda con la mente ai Magellan più ispirati, mentre la lunga parte strumentale di questa canzone mi fa ricordare i Dream di Metropolis pt1 in quanto ogni membro degli Shadow Gallery è impegnato nel dimostrare la propria bravura con il suo strumento. “Room V” è davvero un ottimo disco di prog metal, che a mio avviso potrebbe piacere moltissimo anche a chi non stima più di tanto questo genere.
Esclusi gli ultimi due brani che mettono da parte il concetto di canzone per spostarsi verso lidi più tecnici cari ai progster, gli altri brani sono delle splendide perle da sentire un’infinità di volte senza mai stufarsi. Un ottimo disco per gli Shadow Gallery che ancora una volta sanno regalarmi delle emozioni come solo pochi artisti sono in grado di fare.