Confezionato e laccato come raramente capita in occasione di uscite autoprodotte, ‘One Way’ è la seconda uscita assoluta degli Slowdown. La band, proveniente da Belluno, cavalca l’ormai satura onda del ciclone metalcore, facendo riferimento alla frangia più estrema ed oltranzista del genere. Melodie ridotte all’osso ed assorbite dalla violenza espressa e totale assenza di refrain/ritornelli, dunque, per un disco che incrocia le coordinate della tradizione thrash-death con elementi provenienti talvolta dalla scena moderna e talvolta strizzanti l’occhio all’hardcore. Il risultato? Ritmiche sempre veloci e, volenti o nolenti, chiaramente riconducibili al modus operandi slayerano; chitarre ribassate che operano su giri iterati sospesi tra i generi già citati senza mai sforzarsi di scollarsi scomodi paragoni; growl aggressivo ma monotematico che fa spesso eco ad una commistione tra primi gemiti di un “tale” Goran Petrov e l’urlato ‘core. I brani, tutti sulla stessa falsa riga, riescono a risultare aggressivi, tirati e compatti ma mai pungenti come il genere esige. I fantasmi ingombranti di Lamb Of God, Burnt By The Sun e Demon Hunter più tirati avvinghiano le composizioni dai primi giri e se ne impossessano fino alla conclusione. Qualche tentativo, troppo sporadico e fuori contesto, di spezzare il tema portante non riesce a risollevare le sorti di un disco suonato bene ma poco pensato e carente di un’identità delineata. La voglia di amare e curare il proprio lavoro, una produzione decente e la voglia di far male ci sono al pari di capacità tecniche innegabili e, purtroppo, di lacune ancora evidenti. Al prossimo, sicuramente più smussato e controllato, episodio.