Lo ammetto da subito: i Sonata Arctica sono uno dei miei gruppi preferiti, e probabilmente ormai l’unico di un certo filone nordico che ascolto sempre con vero piacere. Questo fondamentalmente perchè non sono una band ferma sempre nello stesso punto, ma continuano a muoversi pur mantenendo una propria impronta ben definita, continuando a modificare il proprio sound, ad evolvere la propria proposta ad ogni disco che passa. E tutto questo utilizzando melodie che, non mi stancherò mai di ripeterlo, a mio avviso in pochissimi nel panorama metal possono sfoggiare per bellezza, ricercatezza e gusto.
“Reckoning Night” ci presenta undici tracce, di cui solo nove come canzoni vere e proprie, dato che “Reckoning Day, Reckoning Night” risulta essere solo un intermezzo strumentale particolarmente lungo, non assumendo mai i connotati di un brano ben definito, mentre la finale traccia bonus è in pratica uno scherzo goliardico. Ma, come si sa, i dischi non si giudicano “a peso” ma per la qualità del contenuto, e da questo punto di vista il nuovo lavoro del gruppo finlandese è sicuramente ottimamente riuscito.
Probabilmente non c’è stato, ahimè, lo stesso stacco che c’era stato fra “Winterheart’s Guild” e il suo predecessore “Silence”, ma in ogni caso il disco contiene cose mai sentite dai SA. Si prenda ad esempio il trittico “The Boy Who Wanted To Be a Real Puppet”, “Wildfire” e “White Pearls, Black Oceans…”, in cui viene messo in mostra un lato che definirei quasi teatrale, con cori e giochi di voce ottimamente impostati che ricordano a volte i Queen, in particolare nella prima delle tre citate. Queste canzoni sono il vero valore aggiunto del disco, assieme alla più classica ma assolutamente stupenda “Don’t Say a Word” (che risulta essere in pratica un’altra canzone rispetto a quella presente nell’omonimo singolo).
Ritmi cadenzati (“The Boy…”), velocità forsennata (“Wildfire”) e maestosità (la lunga “White Pearls…”): c’è davvero quanto di meglio possono proporre i Sonata Arctica. Ma, dall’altro lato della medaglia, in “Reckoning Night” ci sono anche quelli che possono essere considerati dei riempitivi, e sto parlando di “Blinded No More” e “My Selene”, che sebbene non siano brutte canzoni e abbiano comunque alcuni momenti buoni (in particolare il coro finale di “Blinded No More”, dal sapore molto Rage), certo è che non rimaranno nella storia dei Sonata Arctica nè tantomeno in quella del metal.
Ma a parte questi due momenti leggermente più deboli, mi sento di dare lo stesso un voto molto alto come quello che ho assegnato in virtù di tutte le buone cose citate, senza dimenticare la classica uptempo “Ain’t Your Fairytale” e la conclusiva midtempo “Shamanduke”, che pur non facendo gridare al miracolo rimangono su standard qualitativi davvero elevati.
Un disco raccomandato senza remora alcuna a tutti quelli che conoscono già il gruppo e anche a chi vuole iniziare a scoprire i Sonata Arctica, perchè se si è in cerca di ottimo metal melodico qui lo si trova di sicuro.