Con la formazione rinnovata, i Sadist intraprendono diversi tour in giro per l’ Europa ed assemblano idee per il nuovo studio album, “Tribe”, registrato in data maggio/agosto 1995 ed in seguito ritoccato ai Rhythm Recording Services di Warwickshire, nel Regno Unito con la produzione di Alberto Penzin (Schizo) e di Paul Johnson ( collaboratore di Napalm Death/ Benediction). A differenza del precedente “Above The Light”, questa volta il lavoro è stato progettato in maggior misura, creando quello che resterà nella discografia Sadist l’unico disco realizzato “a tavolino”.
Da molti fan considerata la pietra miliare della band, “Tribe” riscuote successi ovunque, vendendo molto anche in Giappone, paese per il quale la Nosferatu aveva una distribuzione valida anche per il precedente album. Come precisato da Tommy “viene dato maggior spessore alla linea di basso che in un certo senso fa da contraltare alla chitarra, avendo sempre avuto una sola sei corde in formazione. Inoltre in questo album viene evidenziato molto il ruolo delle tastiere”. In brani per l’appunto come la title-track “Tribe” per la quale fu creato un video che verrà mandato poi in onda anche su MTV, nello splendido strumentale “From Bellatrix to Beltageuse” o anche nella opener “Escogido”, così come nelle altre tracce la tastiera svolge un ruolo di primo piano che vede in aggiunta al sound grezzo del primo full lenght elementi più jazzati. In aggiunta alla line-up di base, è da ricordare la presenza di Jane Vaughan (voce secondaria nella traccia 7) e di Alam Khondaker (voce narrata nella traccia 2).
Mentre in “Above The Light” l’artwork rappresentava un tramonto che con l’uso del computer fu stravolto in quella sorta di turbine psichedelico che abbiamo oggi in copertina, su “Tribe” il lavoro fu meno ingegnoso, raffigurando semplicemente un indio in ombra che si arrampica su un albero: semplice ma di grande effetto significativo.
Le tematiche del disco, che vengono sintetizzate ottimamente nel brano “Tribe”, vanno infatti a difendere l’orgoglio calpestato di una civiltà che fu sterminata barbaramente per scopi economici; l’idea della crudeltà viene concentrata nel testo descrivendo questo indio con il suo solo corpo come amico che si vendica per la moglie torturata, il padre ucciso ed i figli dispersi per colpa dei “portatori del progresso”.
Senza alcun dubbio i Sadist non hanno mai trattato liriche banali, ma in questo album in particolare a parer mio colpirono nel segno con qualcosa di molto profondo che venne convertito ottimamente in musica rendendo l’atmosfera adatta: fu questo per me il segreto del successo di questo disco.
Anche se uscì lo stesso anno che i Sepultura diedero alla luce il tribale “Roots”, “Tribe” era in cantiere da tempo addietro, tanto è vero che diverse parti di basso erano già state scritte da Andy, anche se effettivamente il concept nascerà poi con l’arrivo di Zanna che si occupò di gran parte delle liriche. Come dichiarato da Tommy all’ epoca furono molto utili gli studi eseguiti da Peter Gabriel sulla musica etnica ed agli inizi del ’96 la band si appresta ad un giro promozionale in Olanda a fianco degli Occult per tre date; in seguito toccheranno Germania, nuovamente l’Olanda insieme agli Evisceration, Belgio e Francia, per poi arrivare in Italia nell’autunno.
Con il successo non tardarono però ad arrivare anche i problemi, ancora una volta di line-up; da un momento all’altro infatti, nel gennaio del 1997 esce un comunicato che annuncia l’uscita dalla band dei due nuovi acquisti Chicco e Zanna. Un’uscita che all’epoca fece notizia anche per le polemiche che si crearono tra i due musicisti e Tommy; altro cambiamento fondamentale fu l’abbandono del fondatore Peso per poi, di lì a poco, riprendere l’attività con la sua vecchia creazione, i Necrodeath, per i quali già covava da tempo un ritorno con tanto di ristampa dei primi album.
Tutto iniziò per l’appunto con la volontà di Pesenti di lasciare la band per problemi suoi personali ed anche a detta di Tommy per un “distaccamento progressivo dalla sua creazione”; da un momento all’altro così, dopo un disco entrato nella storia del metal estremo a livello internazionale, la band si riduce ad un membro nel giro di poche settimane.
Riportando alcuni estratti di un’intervista edita su Metal Shock nel marzo del 1997 dove furono intervistati Chicco e Tommy separatamente abbiamo un’interessante botta e risposta dove vengono esposte le ragioni contrastanti di entrambi.
A sentire Chicco “Tommy ci portò le nostre cose personali contenute nel furgone e ci disse che eravamo fuori e che lui era la band. Quel che è peggio è che non abbiamo visto una lira né dai compensi dell’album né dall’acquisto del furgone che abbiamo comprato in società! ”.
Leggendo per intero l’intervista traspaiono infatti dalle sue parole una descrizione molto egocentrica di Tommy e svariate critiche riguardo ai fattori economici ed al fatto che non venivano prese in considerazione le sue proposte musicali.
Immediata è la formale risposta del chitarrista co-fondatore: “Essendo rimasto solo io della formazione originale dopo l’abbandono di Peso continuai insieme ad Andy sotto invito di Pesenti stesso. Da un punto di vista legale io sono l’unico titolare dei diritti SIAE, perciò non ho alcun obbligo nei confronti degli altri membri ed il fatto che ripartissi ugualmente i diritti era a mia discrezione. Inoltre le numerose spese Sadist ricadevano ricorrentemente sulle spalle mie e di Peso quando gli altri non tiravano fuori due lire. Riferendomi a Chicco non capisco poi perché voglia continuare a lavorare con un gruppo il cui indirizzo musicale non gli era gradito”.
Rientrato Andy al basso, vi era nuovamente la necessità di trovare due nuovi membri: voce e batteria. Per quanto riguarda quest’ultima venne reclutato quello che era un vero fenomeno nel settore, Filippo Oinos, precedentemente attivo negli ottimi Thy Nature e definito da Tommy “il meglio che potessimo trovare in quel momento”.
Non possiamo certo tralasciare il fatto che da non molto un Tommy ventitreenne aveva intrapreso la via del tecnico del suono in casa propria, con un registratore quattro tracce ed un mixer, facendo i primi esperimenti di sovra incisione. (Per inciso “Tribe” nacque per intero in casa Talamanca). In questo primo embrione di Nadir Studios venivano effettuati i provini, gli stessi con cui vennero assoldati Chicco e Zanna e, sempre lì, trovarono il cantante che rimarrà tale ancor oggi: Trevor.
Reduce dagli Hastur, con i quali registra il primo ed ultimo mini-cd “Macabre Execution” provando negli studi del già conosciuto Tommy, che all’epoca consistevano in un vecchio garage insonorizzato ma già attivo.
Durante il bridge di una canzone ricorda Trevor, “urlai talmente tanto che il vicino della casa accanto venne a vedere se c’era qualcuno che stava male. Da lì a poco Tommy mi volle come cantante Sadist, anche perché cercava un cantante che fosse anche un leader e che avesse una figura piuttosto dura, da orco delle montagne. Io venivo dalle montagne e dell’orco fisicamente avevo molto!”
Con la line-up nuovamente aggiornata riemerse anche un’ondata di entusiasmo generale che fece sì che il successore di “Tribe” venisse fuori in maniera molto più diretta e spontanea rispetto ai due predecessori. “Crust” era il violento risultato di una rinnovata vena compositiva: aggressivo, sincero ed immediato.
Scaduto il contratto con la Nosferatu, i nostri vennero ingaggiati dalla casa discografica olandese Displeased, che già da tempo seguiva il gruppo, dopo aver ricevuto una demo della band messo in luce dal loro produttore, anch’esso della stessa nazionalità. Quest’album, globalmente valutato inferiore a “Tribe” ed “Above The Light”, fu un altro di quei punti cardine della carriera Sadist, un disco sul quale la band era ritornata tale sotto ogni punto di vista, molto più compatta, sia dal lato tecnico che umanistico.
Per quanto riguarda la copertina spiega Andy che “per il nostro grafico dell’epoca Daniele Barillari fu un lavoro piuttosto strano. Fece un collage di molte cose e ricordo che girammo tutto il giorno per macellai per trovare due costole d’agnello!”.
Per le registrazioni del disco, la band si spostò per un mese e mezzo nei bassifondi olandesi, all’interno degli Harrow Productions, nei mesi di aprile/maggio 1997. Il periodo di permanenza negli allora Paesi Bassi fu assolutamente un’esperienza straordinaria per quelli che al tempo erano poco più che dei ragazzi, inoltre le idee per i brani del nuovo “Crust” venivano rifinite direttamente in studio sull’onda dell’entusiasmo generale. Non mancarono certamente gli eccessi, ed a distanza di pochi mesi, il batterista Oinos venne allontanato, anche se rimane ancor oggi in ottimi rapporti con la band, per via del suo spirito libero che faticava molto a rientrare in uno schema predefinito.
A questo punto la formazione si stabilizza una volta per tutte con quello che Tommy ha definito “l’uomo giusto al momento giusto, ma soprattutto con la testa giusta”: Alessio Spallarossa.
Con Alessio si intraprenderà il tour di “Crust”, uscito a fine ’97; l’anno seguente verrà poi girato il video della canzone “Fools And Dolts” che farà il giro delle più grandi emittenti televisive musicali. Il 1998 fu un anno importante perché vide anche il coronamento di un’altra grande soddisfazione che corrisponde al nome di Wacken Open Air, nominando il gruppo la prima band italiana a suonare nello storico raduno di Metalheads (da far notare che il giorno seguente suonarono i Lacuna Coil).
Su “Crust” iniziò ad ostentarsi il vivo interessamento di Trevor nelle storie dei Serial Killer e sulla loro mente contorta, argomento da lui approfondito nel tempo, con il brano conclusivo “Christmas Beat”; nell’edizione giapponese oltre alle dieci tracce di base troviamo due cover bonus, ovvero “Take On Me (A-ah cover)” (di cui fu girato un video) e “Relax (Frankie Goes To Hollywood cover)”.
Facciamo un salto di due anni avanti ed arriviamo al 2000, anno della sperimentazione e del discusso “Lego”; con questo ciuccio siamese in copertina, l’album contiene la bellezza di quindici tracce, di cui la prima (ed anche l’ ultima) in italiano, “Cappuccetto Grosso”.
Senza dubbio, analizzando il disco a livello tecnico, è quello con meno sonorità Sadist di tutta la discografia, inoltre l’unico con il cantato pulito in alcuni brani; l’uso della tastiera prende un ruolo più marginale completamente diverso da un sound come quello di “Tribe”. Demolito dalla critica, questo album non è affatto da gettare via, come ha infatti dichiarato Trevor “l’errore è stato inserire così tante tracce, secondo me almeno nove sono buone canzoni ma nel contesto generale è difficile riuscire a focalizzarle”.
Condivido in pieno, oltre al cambiamento del sound, meno violento ed intriso di innumerevoli cambi di tempo, senza contare che la linea vocale è totalmente diversa da quello che è lo standard Sadist aggressivo e diretto, in questo caso la troviamo infatti spesso cantilenante e poco incisiva; il disco riesce però ad offrire spunti interessanti dal punto di vista tecnico, anche se la durata eccessiva a lungo andare stanca e sicuramente dopo due album come “Tribe” e “Crust” rimane molto amaro in bocca a fine ascolto.
Ad ogni modo, questo fu un altro punto importante e soprattutto dovuto per la crescita della band, senza questo se così vogliamo chiamarlo “flop”, non si sarebbe mai arrivati a quello che il gruppo è oggi e vediamo di capirne il perché.
Come ha detto Tommy “Lego è un disco nato in modo poco passionale e nato da un bisogno di conferme e di nuove ricerche. C’erano delle buone idee ma abbiamo fatto un azzardo che non potevamo permetterci, non essendo i Metallica e nemmeno i Sepultura, tuttavia è stato un fattore che doveva essere creato”.
In un periodo in cui le cose andavano bene e dopo tour importanti la band si aspettava che nascesse una reazione generale che non avveniva ed il morale iniziò a calare, portando l’idea di creare qualcosa di nuovamente innovativo che portasse movimento, in poche parole il classico azzardo che molte band prima o poi finiscono per provare. Purtroppo però, dopo un disco di notevole impatto come “Crust” che nell’est è definito addirittura il capolavoro dei Sadist, “Lego” non è stato all’altezza delle aspettative e questo diede modo di dare al gruppo il via per riflettere sulla situazione corrente, prima di incorrere in un declino o nella creazione di materiale scadente.
Questo fortunatamente non accadde, poiché di accordo comune, ogni singolo membro decise, almeno per il momento, di seguire la propria strada e di chiarirsi le idee prendendosi a tempo indeterminato il tempo di cui aveva bisogno.
Non ci fu mai uno scioglimento vero e proprio, soltanto una lunga pausa di riflessione durata ben cinque anni che rischiarì le idee a tutti e non solo, le fortificò per un ritorno più brutale che mai.