Stone Temple Pilots nel 2010? Devo essere ammattito, devo aver avuto qualche allucinazione. Ma no eccolo lì negli scaffali. Ma che sarà mai una raccolta? Eh no è proprio un nuovo album, e con Scott Weiland alla voce. E\’ proprio vero le reunion sono una moda, ormai è un dato di fatto, così come è vero che si riformano i gruppi anche per raccimolare due spiccioli.
Il ritorno in pompa magna degli Stone Temple Pilots non penso possa segnare un seppur minimo ritorno al grunge, genere musicale mai esistito veramente se non nella mente dei discografici e inculcata a noi ascoltatori.
L\’ascolto di questo omonimo album mi ha dato ragione; del suono dei primi album non v\’è traccia: solo tanto rock \’n roll già sentito, melodie scontate, zuccherose, un po\’ allegrotte, molto radiofoniche. Hard Rock che si fa piacere, ascoltare e magari riascoltare, efficace quanto basta quindi, ma che mai si sopraeleva ad altre uscite discografiche rock internazionali. Di musica così ce nè tanta e da un gruppo che ho amato nei novanta, almeno nei primissimi album, sento solo delusione. I fasti di un tempo non tornano, questo è chiaro. Lo stesso Scott Weiland non canta più posseduto dai fumi di alcol e droga, ispirato, se così si può dire. E\’ diventato un cantante normalissimo, bravo per carità, ma che ha perso lo smalto, se non il carisma.
Dodici brani che scivolano via, regolari senza nessuna particolare emozione eccelsa. Dodici brani che si ascoltano di sottofondo, senza dargli peso. Peccato, perchè le canzoni sono anche ben scritte, ben suonate, vivaci e frizzanti, ma manca quel qualcosa che era presente in Core e Purple. Forse sono io che mi aspettavo un serio ritorno, non so.