Un monicker orrendo ed un artwork eufemisticamente essenziale che fanno a pugni con una produzione chirurgica, buone idee sparse qua e là ma caratterizzate da una presa ancora molle nel metterle insieme. E’ così che si affacciano al “pubblico che conta” gli Str8, italianissimo quintetto ai servizi della Rising Works.
La proposta della formazione pisana si mantiene sempre a cavallo tra rock e metal e, in particolare, tra gli aspetti più moderni dei due filoni. I riferimenti, piuttosto marcati ed evidenti, vanno cercati direttamente nei Metallica del post-‘Black Album’, in qualche deviazione più melodica degli ultimi Eldritch e nel post-grunge accattivante dei primi Nickelback. Riff granitici retti su ritmiche pseudo-thrash, dunque, alternati ad una vena melodica e malinconica onnipresente sia a livello strumentale che vocale. I brani, presi singolarmente ed estratti dal contesto di album, possono risultare piacevoli ed ascoltabili, ma certamente labili e stancanti al passare degli ascolti, dato un modus operandi poco orientato a fare presa ed uno stile vocale certamente migliorabile. Purtroppo per la band, infatti, il singer Alessandro Briganti risulta il vero anello debole della catena esibendo uno stile appena sufficiente che scade in mediocrità ed imprecisioni non appena si tratta di modulare e cambiare registro. L’onesto lavoro della band, comunque sufficiente considerando l’esordio, è dunque inficiato dalla mancanza del tassello fondamentale per il tiro della proposta: un finalizzatore decisivo in grado di erigersi una spanna sopra gli altri. Dispiace dirlo, ma da ciò si è assolutamente lontani e, sussistendo le potenzialità, l’amaro in bocca cresce pensando a quello che sarebbe potuto essere, facendo, di conseguenza, inasprire il giudizio verso un disco lavorato. Un episodio da rispettare ma che, nella savana della di un mercato sempre più agguerrito, recita ancora la parte della gazzella.