Diciamo la verità, il sogno di mezza estate per il metallaro medio di ritorno da Wacken o da un qualsiasi festival estivo, è quello di chiudere la stagione con un bell’open air a misura ridotta. Un posto dove non si fanno code per andare ai cessi o per bere una birra, dove magari incontrare le bands in giro per l’area e farsi quattro chiacchere non è privilegio di pochi. Il Summer Breeze, con la sua atmosfera tutta “provinciale” nel senso buono del termine, sembra essere tutto questo o per lo meno pare rappresentarne l’ incarnazione migliore. L’edizione 2011 del festival bavarese sarà ricordata per il gran caldo, costante e assassino per tutti e tre i giorni, fatta eccezione per una improvvisa tempesta che travolgerà parte del campeggio all’alba del secondo giorno. E’ consuetudine che a rompere il ghiaccio per l’inizio del festival siano le nuove leve, nello specifico i vincitori di quella sorta di Metal Battle ristretta che risponde al nome di “New Blood Award”. La vittoria di una band come gli STEVE FROM ENGLAND non ci toglierà certo il sonno, anzi, ci ricorda che il metal in senso stretto da queste parti è una vera e propria appendice. A farla da padrone è il metalcore, indubbiamente il genere del momento, che nei vincitori prende ahimè la sua incarnazione più acerba e mediocre. Le esibizioni di THE SORROW e SEVENTH VOID non sembrano invogliare il pubblico a buttarsi nella mischia. C’è un’aria strana in giro, il pubblico sembra già esausto e pare proprio non aver voglia di strafare per il momento. Bisogna attendere l’esibizione dei THE HAUNTED per destarlo dal torpore, visibilmente provato da una calura che non concede un attimo di tregua. L’esibizione dei cinque svedesi non ha molto da spartire con la band che conoscevamo e che ha dato vita allo show spaccaossa di due anni fa. Per quanto formalmente perfetta, la prova dei nostri rispecchia gli umori e i rumori del controverso “Unseen”. Un’atmosfera che potremmo definire inaspettatamente riflessiva per la band di Peter Dolving, sempre più camaleontico di pari passo con il suo look.
La sterzata arriva subito dopo con i COMEBACK KID e il loro hardcore punk selvaggio e senza compromessi, ma saranno i SUICIDAL TENDENCIES a prendere in pugno la giornata: Mike Muir è in stato di grazia e guida ancora con maestria una band che è cambiata parecchio dai tempi di “You can’t bring me down”, pezzo simbolo posto peraltro in apertura. Il thrash-hardcore degli esordi si è gradualmente diluito con la black music per dare vita a un magma sonoro assolutamente trascinante. La sezione ritmica è nuova di zecca e di chiara matrice funk: fa strano ascoltare classici come “Instituzionalized” o “I Saw Your Mommy” suonati con un appeal più funky, ma l’effetto è indubbiamente enorme. Ancora hardcore punk a mille con gli americani IGNITE, che propongono fra le altre una discutibile cover di “Sunday Bloody Sunday” degli U2. Scocca l’ora degli ARCH ENEMY, sempre amatissimi da queste parti, per quella che è almeno da pronostico l’esibizione più attesa. Più quantità che qualità sul main stage per la band dei fratelli Ammott, abile nel confezionare uno show tanto pirotecnico a livello visivo quando incerto per la qualità dei suoni. Al pubblico non sembra importare granchè, sottopalco è l’apoteosi, e i mortaretti presenti in gran quantità sul palco fanno sembrare la band più cattiva di quanto possa trasparire da pezzi come “Yesterday Is Dead And Gone”, uno dei tanti (troppi?) estratti dal nuovo “Khaos Legions”.
Adesso sono pronto a farmi lanciare addosso qualsiasi cosa, perché quella della band che segue è stata, contro ogni pronostico, una delle migliori esibizioni del festival. Sto parlando degli svedesi SONIC SYNDICATE, alfieri del metalcore più commerciale. Sulla natura dubbia della band si è discusso sin troppo: si è parlato di boy band messa su in maniera discutibile (un concorso per giovani bands promosso dalla Nuclear Blast con in palio un contratto discografico). Pompati a dovere dalla casa discografica di Donzdorf, i cinque svedesi si presentano a Dinkelsbuhl nelle vesti di headliner e, lo ribadisco, stravincono su tutta la linea. Non tanto per le canzoni basate su una formula ampiamente prevedibile, né per le qualità dei singoli musicisti (discutibile la prova del singer). Colpisce la capacità di coinvolgere il pubblico, di dettare i tempi di uno show che non concede neppure un momento di noia. La partecipazione dei trentamila del Summer Breeze è impressionante, si può rimproverare tutto alla band svedese, ma non certo la capacità di fare spettacolo. Qualche hit (Denied, Aftermath, Jack Of Diamonds) dal vivo fa anche un certo effetto. “We Rule The Night” in coda potrebbe riassumere bene il trionfo della band, la notte di Dinkelsbuhl è tutta loro. Almeno fino all’esibizione degli IN EXTREMO.
E’ indubbio che il folk metal stia vivendo un momento particolarmente felice a livello mondiale, ed è altresì indubbio che in Germania da sempre tale genere sia riuscito a conquistarsi fette di mercato sempre maggiori, ma la band capitanata da Michael Robert Rhein ancora una volta ha mostrato che per catturare le folle ci vuole di più della buona musica: serve teatralità, personalità e carattere. E per l’ennesima volta i tedeschi, universalmente riconosciuti quali reali capostipiti del genere, hanno mostrato di averne da vendere di queste doti, regalando al pubblico uno show fatto di canzoni conosciute a memoria dalla stragrande maggioranza dei presenti, di fuochi d’artificio, di iterazione con i fans e soprattutto di una precisione musicale davvero impressionante. E così song estratte dall’ultimissimo Stemeneisen (poche per la verità, ma dal grande impatto sul pubblico) sono mescolate a mostri sacri del folk metal quali l’immortale “Vollmond” , annunciata dalla solita intro di arpa di Dr. Pymonte, e la trascinante “Frei Zu Sein”, che faceva scattare pogo e body surfing fino all’ultima fila, fino all’immancabile “Spiellmannsfluch”, con tanto di trenino e giochi sul palco dei suonatori di cornamusa, per un concerto che tra una fiammata e un getto di vapore correva via lasciando dopo un’ora e un quarto di esibizione, trentamila persone ad applaudire la band che si inchinava davanti a lei. Applausi meritatissimi.
La notte fa definitivamente capolino e quale band migliore dei MARDUK per darle il benvenuto? Black metal vecchio stile, voci e grida che sembrano venire direttamente dall’inferno, un’atmosfera sulfurea e inquietante, difficile restare indifferenti anche se non si è amanti del black metal.
L’inatteso temporale arriva all’alba del secondo giorno e devasta buona parte del campeggio (il sottoscritto ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie per tenere integra la propria tenda). Passata la tempesta e rimediati per quanto possibile i danni del temporale, si torna alla musica.
La giornata inizia con l’esibizione degli SKELETONWITCH sul main stage e dei GRAVEYARD al party stage; fautori di un thrash estremo i primi, mentre i secondi sono una ulteriore prova della eterogeneità del festival; recentemente approdati alla Nuclear Blast (ettepareva…) mettono sul piatto un interessante mix di sonorità acide degli anni ’60 in un mare di improvvisazioni. Un cambio dell’ultim’ora porta i KALMAH sul pain stage con una prestazione fra le migliori della giornata. Band non più di primo pelo che forse ha raccolto meno di quanto ha potuto, catalizza l’attenzione di una consistente fetta di pubblico a dispetto delle temperature ancora una volta proibitive. Un sound epico e magniloquente, sintesi perfetta di epic, power e death per loro, che a dispetto della musica che propongono si godono il momento come se fossero dei debuttanti, ringraziando spesso e volentieri i fans, davvero caldi a rosolare sotto un sole infernale, mostrando se ancora ce ne fosse bisogno che anche nelle sonorità più aggressive il ruolo delle tastiere può essere determinante a creare atmosfere coinvolgenti a tratti, violente in altri.
La sorpresa della giornata è rappresentata dai SALTATIO MORTIS, già ammirati in quel di Wacken due settimane prima. Stavolta l’esibizione è di molto più convincente, sarà l’ora più consona, sarà che i giochi di intrattenimento che tanto piacciono al cantante riescono tanto bene. Insomma la band è in palla e pare proprio divertirsi un mondo assieme al pubblico, con l’apice raggiunto dal singer che scende tra la folla per dividere materialmente i fans in due muri e scatenare quello che resterà 8incredibile a dirsi, sui Saltatio Mortis!) uno dei Wll of Death più vasti dell’intero festival , prima di gettarsi ancora sulle prime file e sciorinare un’intera song facendo body surfing tra le risatine beffarde dei compagni di band. Un’esibizione che spiana la strada ai norvegesi ENSLAVED, mentre intorno è tutto un pullulare di bandierine rosa distribuite indovinate da chi? Dai JBO naturalmente. La spassosissima band tedesca deve promuovere il nuovo “Killeralbum”, titolo e copertina presi in prestito direttamente dal celeberrimo Killers degli Iron Maiden, ma poco importa. Un’ora di puro entertainment fra cabaret, gag sceniche (memorabile l’ingresso sul palco di chierichetti che alternavano pose da chiesa a slanci di puro headbanging con tanto di corna al cielo!) e cover anni ’80. Il pubblico è tutto per loro e sventola le bandierine rosa. Sono proprio pazzi questi tedeschi! Nulla toglie e nulla aggiunge l’esibizione dei TURISAS, così come fa un certo piacere vedere dei vecchi leoni come i BOLT THROWER ancora in forma, anche se un po’ troppo statici per un palco delle dimensioni del main stage. Arriva l’ora dei gruppi di punta con gli AMORPHIS , col vento in poppa dopo il successo del nuovo “The Beginning Of Times”; la band non dimenticherà di citare il nuovo disco con ben quattro estratti, fra cui le splendide “Mermaid” e “A Crack In Stone”. Niente di nuovo da dire su questa band che ormai rasenta la perfezione anche on stage. Le atmosfere quasi psichedeliche create durante il set grazie anche a interessanti giochi di luce potrebbero sembrare un timido elemento di novità, eppure si ha l’impressione che manchi ancora qualcosa alla band per essere davvero grande. Ad esempio, una minore staticità sul palco. Neanche il tempo di rifiatare che è già tempo di un pezzo da novanta quale gli HAMMERFALL. La band svedese da sempre si contraddistingue nel confezionare show di ottimo livello.
Putroppo i segnali di cedimento che si avvertivano all’ascolto dell’ultimo “Infected” prendono forma in tutta la loro consistenza questa sera. Di tutt’altra pasta invece l’esibizione che si sta svolgendo nel party stage davanti a pochi intimi. Chiamati a sostituire i defezionari ATHEIST all’ultimo minuto, i VICIOUS RUMORS danno vita ad uno spettacolo unico che avrà fatto fischiare le orecchie agli assenti e agli Hammerfall di pochi metri distanti. Un’ottima occasione per vedere all’opera ennesimo erede del trono che fu del compianto Carl Albert. Una personalità ai limiti della follia quella di Brian Allen, giovanissimo, con dei lineamenti alla Billie Joe dei Green Day (ma solo quelli!) e una presenza scenica alla Airbourne. Mentre gli Hammerfall si disfano come neve al sole, i californiani danno una autentica lezione di heavy metal a 24 carati dove non manca niente: tecnica, spettacolo, coinvolgimento e tanto, tanto cuore. C’è persino tempo per un po’ di sano body surfing da parte di Brian Allen mentre il vecchio Geoff Thorpe se la ride sotto i baffi: il true metal vince ancora, anche quando gioca in trasferta su un campo ibrido come quello del Summer Breeze. La serata continua con i pittoreschi POWERWOLF e il black depressivo degli IMPERIUM DEKADENZ ma è solo un gradito “di più”. Sono quasi le quattro del mattino!
La terza giornata si presenta sulla carta un po’ più avara, dai due palchi principali non arriverà granchè e ci concentriamo sul party stage che sarà invece foriero di grandi soddisfazioni. Le esibizioni più attese infatti si concentrano tutte lì: in primis i sorprendenti CRIMINAL, combo cileno che non nasconde il proprio background politico e geografico: in mezzora la band riesce nell’impresa di convincere anche uno scettico ascoltatore di thrashcore come il sottoscritto. Merito dell’elevato tasso tecnico espresso dalla band, specialmente attraverso la sei corde del nuovo arrivato Olmo Cascallar. Promossi a pieni voti.
Aspettiamo con ansia il tardo pomeriggio per arrivare agli svedesi WOLF, una delle band più unanimemente apprezzate dalla nostra redazione grazie a dischi come “The Black Flame” e “Ravenous”. Con il loro heavy metal old school la band ha negli conquistato pubblico e critica, impresa bissata anche qui al Summer Breeze. Fa bella mostra di sé la spassosissima “Skullcrusher” (consigliatissimo il video!), “Evil Star” ed altri brani pescati un po’ da tutta la discografia della band.
Come si sa in Germania c’è sempre un’ora da dedicare all’entertainment ed è proprio qui che fanno la loro comparsata gli SWASHBUCKLE. In un’ora scarsa di concerto i tre bucanieri ne combineranno di cotte e di crude: intro da disco music, maschere improbabili che girano per il palco assieme ai fan, body surfing e wall of death come se piovesse. Insomma, il degno corollario di un concerto thrashcore, apostrofato dal leader come “l’ultimo concerto della band”. Noi, che pure ci siamo divertiti tanto, non facciamo fatica ad ammettere che quella degli Swashbuckle è stata più che altro un fortunato progetto commerciale, giustificato più dalla voglia di divertirsi dei giovani tedeschi che da una proposta musicale degna di nota. Il tutto ovviamente condito e orchestrato a dovere dalla Nuclear Blast.
Il pomeriggio è reso ancora più rovente dalle esibizioni di ENGEL e GRAND MAGUS; menzione d’onore per il trio svedese, ormai autentica garanzia in campo epic. I brani di “Hammer Of The North” consolidano un repertorio che sembra aver definitivamente sterzato verso il metal classico. Curioso constatare come la loro esibizione catalizzi l’attenzione della fascia più “anziana” di pubblico, segno di un’evidente stacco fra sonorità e generazioni. Tuttavia fa ancora troppo caldo, e non bastano i soporiferi CORVUS CORAX,collocati in una inusuale esibizione pomeridiana, a smuovere le masse, troppo occupate a fare gli ultimi acquisti nel fornito metal market o a bere le ultime birre gelate. I nostri puntano troppo sull’effetto scenico per non patire un posto nel bill davvero poco consono, e la loro esibizione risulta per i più un po’ noiosa a lungo andare.
Il terzo giorno sembra proprio che tutti chiedano mentalmente la fine di un festival, le condizioni ambientali ci ha letteralmente messo in ginocchio. Meglio cercare rifugio sotto l’enorme party tent dove ci attendono un po’ di ombra e un tris di eccellenti esibizioni: incredibili come sempre i tedeschi OBSCURA, ormai legittimi eredi di bands quali Cynic e Death. La band tedesca regala un breve set di circa quaranta minuti concentrato in gran parte sul recente “Omnivium”, ma non mancano chicche quali “Anticosmic Overload” e la toccante “Centric Flow” posta in chiusura di concerto.
Il pomeriggio estremo prosegue con i THE OCEAN che fanno da apripista ad una spettacolare esibizione dei TYR, forse la migliore di tutto il festival. La proposta dei quattro delle Faroer si è evoluta non di poco rispetto agli esordi, trasformando la marzialità dei primi dischi in pezzi più vigorosi e ritmati; quello che non è cambiato è la componente melodica, capace di azzeccare refrain vincenti un po’ in inglese un po’ in lingua. La botta iniziale di “Flames of The Free” e “Shadow Of The Swastika” è impressionante. Cori perfetti (ricordiamo che tutti i membri della band cantano), potenza e melodia si rincorrono in maniera pressochè perfetta e senza sbavature. A corollario di tutto, una partecipazione fra le più intense da parte del pubblico, un party tent che letteralmente esplode di gente e di euforia. Un meritato bagno di folla per una band che ha le carte in regola per il grande salto. Scocca intanto sul pain stage scatta l’ora dei CALIBAN, assieme agli Heaven Shall Burn gli unici contendenti al trono del metalcore. Non penso di essere ingeneroso ad affermare che l’unico motivo di interesse verso i cinque tedeschi sia il parapiglia che puntuale si scatena sottopalco. Se sentite la necessità di spegnere il cervello e scaricare un po’ di adrenalina beh, un concerto dei Caliban fa assolutamente al caso vostro.
C’è spazio per una ruffiana cover di “Sonne” degli amatissimi Rammstei e soprattutto la bizzarra cover di “Helter Skelter” dei Beatles e per un attimo mi domando quanti dei giovanissimi presenti, impegnati a fracassarsi le ossa fra circle pit e wall of death, l’abbiano riconosciuta; la questione non è di vitale importanza. Conta invece che tutti si siano divertiti nella massima correttezza. Già, perché un pogo o un wall of death da queste parti non è come ce lo potremmo immaginare. Sono rimasto stupito nel vedere sconosciuti fare cerchio attorno a un ragazzo che era caduto durante un circle pit, allungare una mano a un altro che era inciampato durante un pogo. E’ incredibile notare che una spallata durante un pogo non viene vista (giustamente!) come un’atto di offesa; fa parte del pogare, del rito collettivo cui tutti a parole non vogliono rinunciare ma all’atto pratico non sanno gestire. Dalle nostre parti, un colpo di spalla fuori misura si risponde il più delle volte con uno sguardo di sfida. Ecco, forse sono questi piccoli gesti contribuiscono a creare quel clima che invano cerchiamo di raccontare.
Siamo in dirittura d’arrivo, gli AS I LAY DYING spingono ancora sull’acceleratore per gli amanti delle danze collettive; i SODOM riscattano la scialba performance di Wacken, tocca poi alla vera star di questa edizione, un nome fra i più amati della scena metal (e affini) qui in Germania. Per TARJA TURUNEN la giornata è iniziata in modo memorabile con la conferenza stampa delle 13, un’ottima occasione per fare il punto sui suoi progetti in cantiere ma soprattutto, per ritirare il disco d’oro raggiunto con le 250.000 copie vendute del suo terzo album “My Winter Storm”, il primo per un solista finlandese.Tarja è indubbiamente un’artista fra le più amate qui in Germania. Visibilmente emozionata in conferenza stampa, non nasconde una certa timidezza che col passare dei minuti si scioglie per lasciare spazio a un tono più confidenziale. Si susseguono anedotti e riflessioni, dal ruolo dell’amico Mike Terrana nella sua carriera solista ai suoi hobby (pochi sanno che Tarja ha un vero e proprio debole per il diving), tutto senza mai nominare la parola Nightwish. E sul palco? Beh, le cose stanno un po’ diversamente. Fatta eccezione per l’adorazione incondizionata del pubblico e uno strepitoso Terrana, di un’ora di esibizione non resta alcunchè di memorabile. Il repertorio solista di Tarja è confezionato ad hoc per un pubblico più vasto e questo può anche starci; è il valore delle composizioni che non convince, assestato su un hard rock pop orecchiabile ma di dubbio gusto. Tarja ha classe e talento ma soprattutto un approccio stupendo verso il mondo, e pubblico forse l’ha premiata anche per questo. Della serie: come farsi amare. A chiudere questa edizione del Summer Breeze tocca ad HATEBREED e Primordial. Non me ne vogliano i supporters, ma la band svedese per il sottoscritto rappresenta per il sottoscritto un vero e proprio enigma. Una proposta musicale piuttosto piatta, fatta di screamo e groove, tanto groove, solo groove. Intendiamoci, di bands così ce ne sono a iosa in giro. Noi italiani abbiamo molti difetti, ma una band del genere non l’avremmo mai inserita in questa posizione del bill. Gli irlandesi PRIMORDIAL salutano il pubblico dei palchi principali con la consueta esibizione crepuscolare a chiusura di festival. “The Empire Falls” regala i brividi dal vivo come su disco mentre la prestazione del singer non è proprio impeccabile. Una piccola pausa ci separa dalla strabiliante esibizione dei MOONSORROW. Chi era presente al Paganfest ha già avuto modo di assaporare le splendide atmosfere create da questa straordinaria band. Un black depressivo che si fonde con l’epic e il folk, marce funebri e chitarre aperte, atmosfere da fine del mondo, tappeti di tastiere a rendere il tutto più triste e incerto. Difficile descrivere in modo sensato la musica dei finlandesi. Si respira un senso di incertezza, enfatizzato dalle movenze scattose della band on stage. qualcuno ha definito la loro musica come la colonna sonora della fine del mondo. Il vocalist introduce “Kuolleiden Maa” con un esplicito e sentito memento mori. Il senso di fine non poteva essere esplicitato in maniera migliore. Si chiude anche quest’edizione del Summer Breeze, un festival che pur con presupposti diversi, riesce a creare un’atmosfera per certi versi superiore a quella del tanto decantato Wacken. Dopotutto se questa era la mia quarta partecipazione, un motivo deve pur esserci. E allora lasciatemelo gridare in maniera magari poco originale. SAMMAR BRIIIIIIZZZZZZ!!!!!