E’ un periodo d’oro per il death metal in Italia.
Dopo le grandi uscite di Fleshgod Apocalypse, Vomit The Soul, Dominance, il ritorno dei Natron, il successo sempre maggiore degli Hour Of Penance e così via, arriva il momento dei Napoletani Symbolyc e del loro “Engraved Flesh”. Originariamente uscito come autoproduzione, l’album è stato notato dalla sempre più attiva e attenta My Kingdom Music, che non ci ha pensato due volte nel proporre un contratto discografico al quintetto partenopeo, dandogli così la possibilità di avere una meritata e agognata maggiore visibilità in campo mondiale. “Engraved Flesh” è un album devastante, composto da nove brani diretti e di breve durata, che non si perdono in inutili orpelli tecnici, ma che puntano direttamente al sodo. “Engraved Flesh” è un concentrato di death metal di chiaro stampo est europeo, più precisamente di stampo polacco, dove sono fortemente impresse nel sound dei nostri le influenze di band quali Vader, Behemoth e Decapitated. Ci troviamo di fronte ad un album oscuro e potente come un monolite nero che s’innalza in tutta la sua maestosità. I brani sono compatti e alternano con grande intensità parti veloci, anche se il blast beat non è mai usato in maniera continua, a parti in mid tempo pesanti e spezza collo. In alcuni casi, come nella traccia “Wingless” I Symbolyc, la band strizza l’occhio anche alle sonorità più vicine allo Swedish, ma è solo un’impressione momentanea, che viene subito spazzata via dall’assalto di canzoni come “Suffering” o “Denied”. L’incedere di quest’album è veramente assassino; la prova degli strumentisti è ottima, dai chitarristi Sossio e Alessandro che sfornano riff ispiratissimi e assoli di ottimo gusto e mai invadenti o troppo lunghi, passando per l’ottima prova della sessione ritmica, dinamica e presente in ogni momento, ma una menzione speciale la merita sicuramente Diego Laino, singer di razza, capace di variare con facilità un growling pesante con scream laceranti, che donano un tocco quasi Bentoniano alle sue metriche. La produzione, poi, è perfetta, curata dai 16th Cellar Studios di Stefano Morabito, ormai un nome e una garanzia in ambito death metal. Che cosa dire di più su quest’album, perfetto per gli amanti del death metal europeo: non fatevelo sfuggire, sarebbe un grosso errore.