Ritornano fra noi i fracassoni ed alcolici cavalieri di Francoforte e stavolta ci pongono una domanda che impone una risposta non molto semplice: “Qual’è il significato della vita?” Senza ombra di dubbio la risposta dei nostri paladini del beercore-thrash teutonico sarà senz’altro questa: suonare a velocità supersoniche per divertirsi e far divertire, comporre sempre canzoni dai testi ironici per scherzare sulle avversità della vita e restare sempre fedeli al genere scelto senza contaminarlo con i generi che vanno di moda. Questa è ormai da anni la chiave del successo dei Tankard. I nostri amici se ne sbattono altamente di disegnare sorrisi o magliette iperdecorate, non perdono tempo a calcolare la compressione del suono o i tempi di batteria, non si mangiano il fegato per trovare il giusto intro di basso o una cervellotica pausa melodica arpeggiata accompagnata da un cantato sofferente; è ormai risaputo che Gerre e soci riescono sempre a proporre dei testi molto vivaci, diretti ma mai sboccati, conditi da riff aguzzi, molto efficienti anche se, a volte, non molto originali ed assoli melodici. Anche se le due asce del gruppo, Andy Bulgaropulos ed Axel Katzmann, non possono essere neanche lontanamente paragonati a dei mostri sacri del Thrash come Jeff Hannemann e Kerry King, nel loro piccolo riescono a sprigionano una carica che definire immensa è un vero eufemismo. Completano il tutto l’ottima a calibrata sezione ritmica, titanicamente condotta dal nuovo batterista Arnulf Tunn e da sua maestà Frank Thorwart al basso. Ciò che ha caratterizzato i nostri paladini è stata la crescita costante che si è potuta verificare ascoltando le loro release discografiche, piccole gemme di bravura costellate sempre dalla presenza massiccia di brani killer nati dall’attiva partecipazione di tutti i membri al songwriting. Ma parliamo di questo album targato 1990. ciò che colpisce subito è la splendida copertina che raffigura Mike Tyson colpito da una grave crisi di scoglionamento, due personaggi pubblici molto importanti come papa Woityla ed il cancelliere Kohl dediti intensamente al dolce far niente, e l’alieno mascotte che, da buon fattucchiere, legge la mano al dottore “azzecaintrugli”: ma la cosa più importante è che tutti costoro sono seduti ai tavoli dello Space Beer (e ditemi voi se questo non è uno splendido “quadretto familiare”). Ma lasciamo che sia la musica a parlare. La festa si apre sul riff anni ’70 di “Open All Night”, brano che inneggia ai bar aperti tutta la notte e che non impongono alcuna restrizione e che è scandito dalla doppia cassa impazzita di Arnulf che detta il tempo degli assoli squarcianti creati dalle chitarre e sostiene la prova vocale fornita dall’ugola roca e partecipe di Andreas “Gerre” Geremia. Si prosegue alla grande con una serie di brani che definire al fulmicotone è assolutamente limitativo: “Beermuda”, uno dei tipici giochi di parole in stile Tankard che serve a traghettarci nel Mar dei Sargassi, nelle famose isole assurte a nuovo Bengodi, un sogno ad occhi aperti che serve da pretesto per una cavalcata thrash da manuale, veloce e tecnica e che, soprattutto grazie ai violentissimi stop and go, fanno tornare in mente gli Slayer, “Always Them”, altra mazzata sonora di rara potenza, la title-track, altro brano che aggredisce le orecchie dell’incauto ascoltatore con dei riff taglienti ed assassini ed apre la strada alla fulminante “Dancing On Your Grave” che colpisce sia per il testo apocalittico sia per la presenza, al suo interno, di un coretto da pulman scolastico per giungere poi alla splendida e diretta “Space Beer”, un classico brano cadenzato in pieno stile Tankard caratterizzato dall’ottima prova dell’ugola di Andreas Geremia. Per concludere posso solo dire che, se volete una valida alternativa europea a Seasons In The Abyss e Rust In Peace, non vi resta che ascoltare i paladini di Francoforte che, nonostante abbiano prodotto un album leggermente inferiore a The Morning After, riescono comunque a tenere alto il buon nome del Thrash Metal di marca teutonica.