Un altro incredibile e gradito ritorno infiamma le casse del mio stereo mentre aspetto che il solleone si decida a lasciare spazio ai ben più freddi climi dell’inverno: con “Return to evermore” i Ten ricompaiono sulle scene AOR di tutto il mondo per regalarci oltre un’ora di musica. Dopo la dipartita dell’ormai storico chitarrista Vinny Burns ero piuttosto scettico sul futuro della band capitanata da Gary Hughes: tuttavia bastano pochi secondi di ascolto dell’opener track per rendersi conto che quasi nulla è cambiato all’interno della band, tutto è rimasto all’incirca come nel periodo Burns e questo fa sperare in un grandioso cd ricco di musica e di melodia.
I nuovi pezzi del combo inglese non si allontanano di una virgola dal marchio di fabbrica cui ormai siamo stati abituati nel corso degli anni: melodie sognanti e atmosfere dolcissime fanno da sfondo alla voce sempre ispirata di Mr. Hughes, chitarre acustiche e noti suadenti di pianoforte costituiscono la colonna portante di moltissimi brani mentre le chitarre elettriche regalano assoli e riffs che non fanno rimpiangere il dimissionario Burns.
Si parte subito alla grande con “Apparition” brano hard rock melodico che strizza l’occhio alle produzioni degli ultimi Maiden soprattutto durante l’incedere della strofa per poi coinvolgerci in un ritornello trascinante che si salda in mente e non va più via; segue “Dreamtide” dall’incedere cupo e cadenzato nonostante il chorus si dimostri maggiormente arioso e dotato del “tiro” necessario per far prigioniera l’attenzione dell’ascoltatore e permettere al pezzo di decollare. Atmosfere celtic-folk costituiscono l’ossatura dell’intera “Evermore” pezzo veloce e diretto che ricorda da vicino i maestri Skyclad: sembra difatti di trovarsi nel bel mezzo di una festa medievale con centinaia di persone che ballano in cerchio e si divertono!
“Temple of love” e “Even the ghost cry” sono due dei più begli episodi di “Return to evermore” caratterizzati da chitarre acustiche che si intrecciano tra loro assieme a riffs pesantissimi di chitarra elettrica e da ritornelli da cantare davvero a squarciagola in sede live. I Ten hanno a mio avviso il grande pregio di riuscire sempre ad azzeccare i refrain di tutti i loro pezzi rendendoli molto semplici e intuitivi ma al tempo stesso accattivanti e coinvolgenti.
Il disco prosegue con una seconda ballata dal titolo “Strangers in the night” che si dimostra purtroppo nettamente sottotono rispetto alla precedente “Sail away” classico lento in pieno stile Ten da ascoltare ad occhi chiusi; a colmare questo piccolo “deficit” ci pensano però i restanti brani del cd tra cui spicca la conclusiva “Tearing my heart out”, brano che si discosta leggermente dalle sonorità Ten per abbracciare suoni maggiormente moderni (il riff che fa da colonna portante all’intera canzone sembra uscire da un disco cross over) ma che in ogni modo si lascia apprezzare e si dimostra un’ottima track degna di concludere un album davvero molto bello e che sicuramente non deluderà i propri fans.
Dunque se ancora non conoscete i Ten procuratevi assolutamente le prime produzioni del gruppo: ”The name of the rose” e “Ten” sono assolutamente dischi da avere. Al contrario se avete già tutto di questa splendida band allora cosa aspettate? Correte dal vostro negozio di fiducia e fate vostro “Return to evermore”… i Ten sono tornati per suonare quello che meglio sanno fare e per emozionarci con le loro squisite melodie.