Il modo in cui i Tesla guadagnarono il loro primo contratto discografico rappresenta alla perfezione lo spirito che anima la band di Sacramento, California: notati durante un concerto da Tom Zutaut (colui che, fra l’altro, ingaggiò band del calibro di Motley Crue e Dokken), la band si vide offrire un contratto nientemeno che con la Geffen Records, “a patto che vi dimentichiate come si fa a scrivere hit radiofoniche e che suoniate come vi dice il vostro istinto”.
Ed infatti la caratteristica che ha portato la band al successo e le ha permesso di guadagnarsi una ampia audience fedele negli anni (come dimostra il recente tour di reunion negli usa, sempre sold-out) è proprio l’onestà, il mettere la musica sempre al primo posto.
In mezzo a tante band tutte make-up e iper-produzioni, il quintetto californiano propone infatti un energico, solido hard rock dalle venature blues e country e dalla grande resa dal vivo.
“Mechanical Resonance” è il primo disco in studio della band, e si tratta proprio di un esordio col botto: canzoni come “Modern Day Cowboy” (primo singolo, con tanto di video passato su “Headbanger’s Ball”), Cumin’ Atcha Live, Gettin’ Better, Ez Come Ez Go sono presto diventate dei punti fermi delle esibizioni live, e sono tuttora trasmesse di frequente dalle radio rock degli states. A livello di vendite, l’album raggiunse la top 20 americana.
La produzione è abbastanza “ottantiana”, se mi passate il termine, ovvero suoni puliti, riverbero, un senso di “spazialità”: se sui pezzi più rockeggianti appare un po’ fredda, si adatta invece meglio alle parti più riflessive e delicate del disco.
Musicalmente parlando, il disco è frutto di una band molto giovane e ancora un po’ inesperta, specie se si considera l’evoluzione stilistica avvenuta con i dischi successivi.
La stoffa, tuttavia, non manca di certo: l’espressiva e particolare voce di Jeff Keith è uno degli elementi distintivi della band, così come lo è la grande intesa fra i due chitarristi Frank Hannon e Tommy Skeoch, dagli stili differenti e perfettamente complementari. Una sezione ritmica di tutto rispetto completa il quadro di una band capace di rielaborare la lezione melodica delle band degli anni 60 e 70 aggiungendovi l’elettricità degli 80s, con un retrogusto tipicamente americano ed una forte impronta personale.
Il risultato è un disco con canzoni che vanno dal rock n’roll più scanzonato (Love Me) ad altre più marcatamente metalliche (Rock Me to the Top), passando per pezzi più soffusi e malinconici (Before My Eyes), in un continuo alternarsi di atmosfere.
A voi il piacere di lasciarvi sorprendere da canzoni come We’re No Good Together, Changes o Cover Queen…
L’unica critica che mi sento di fare va alla produzione un po’ troppo fredda e sbilanciata sulle frequenze alte, laddove dei suoni più caldi avrebbero probabilmente aggiunto valore alle di per sé ottime canzoni.
Ad ogni modo, “Mechanical Resonance” è un debut-album che rende giustizia al talento di una band allora giovane ma dalle grandi potenzialità, che infatti verranno puntualmente sviluppate negli album successivi.