Avete presente quando comprate qualcosa a scatola chiusa perché sapete già che alla fine il prodotto sarà di vostro gusto e gradimento? Bene, con il progetto “The Codex” è la stessa cosa e il motivo è molto semplice: la presenza di due artisti del calibro di Magnus Karlsson e Mark Boals, il primo principale compositore del progetto Allen/Lande nonché ascia degli Starbraker mentre il secondo non mi sembra che ci sia bisogno di presentazioni dato il suo celebre passato come cantate di Malmsteen e nei Ring of Fire, band che non ho mai apprezzato più di tanto.
Con personaggi simili il risultato è scontato e quest’album si rivela come una piccola perla di metal melodico che farà sicuramente piacere a tutti quelli che avevano apprezzato i dischi che vedevano come protagonisti proprio la coppia Jorn Lande e Russell Allen. Effettivamente il songwriting di Karlsson è sempre il medesimo e se non fosse proprio per il grande Boals alla voce quest’album sembrerebbe il terzo capitolo della saga iniziata dai due super cantanti appena citati. Ad ogni modo i brani di “The codex” scorrono via in maniera davvero veloce, ogni canzone brilla di vita propria grazie a linee melodiche e musicali d’effetto e non eccessivamente intricate. L’opener “Beyond the dark” è quanto di più melodico si possa sentire mentre con “Toxic kiss” la band schiaccia sull’acceleratore indurendo parecchio il proprio sound fino a rallentare nella parte centrale per dare modo a Boals di iniziare a dettare legge come solo pochi cantanti sanno fare. Incredibile inoltre la prova di Karlsson alla chitarra, scatenato come non mai, ci regala solos ipertecnici e velocissimi, mai scontati e sempre emozionanti, si svela autentico leader incontrastato di quest’album grazie anche all’ottima sezione ritmica di Flores (Mind’s eye) e Abrahamson che rendono i brani ancora più frizzanti ed esplosivi. Le canzoni che si susseguono sono bene o male tutte piuttosto uguali e con una struttura similare ma quello che colpisce è proprio la carica di melodia e aggressività che i nostri riescono a inserire all’interno dei passaggi di ogni canzone: e così si passa da “Bring down the moon” brano cadenzato e dotato di un ritornello azzeccato e di facile presa, a pezzi più veloci come “Mistress of death” e “Garden of grief” passando ancora per brani più malinconici e intimi come la penultima “You can have it all” e “Whole again” che mostrano, come se mai ce ne fosse bisogno, la splendida voce di Mark Boals.
Insomma, se avete apprezzato Allen/Lande dovete fare vostro quest’album in attesa ovviamente del terzo capitolo della saga dei due grandi cantanti che spero non tardi proprio ad arrivare. Un album easy listening e capace di conquistare sin dal primo ascolto.