Il Precambriano, senza pretese di nozionismo, né di precisione, viene descritto come una misteriosa era geologica, risalente a circa quattro miliardi e mezzo di anni fa, nella quale, dopo un lungo scenario apocalittico, all’interno degli oceani cominciano le prime aggregazioni di amminoacidi che daranno poi origine alla vita. E’ da quel mare che la creatura The Ocean decide di emergere e far partire il suo nuovo e singolare viaggio, con la padronanza e la perizia di chi quelle atmosfere sembra averle vissute davvero, tanto da riuscire a ricrearle con il solo ausilio di strumenti musicali. Così nasce il sorprendente ‘Precambrian’.
Quattordici brani suddivisi in due dischi i cui titoli si rifanno ad ulteriori suddivisioni all’interno del Precambriano stesso. Si parte con ‘Hadean/Archaean’, mini di cinque pezzi, in cui la band tedesca concede ventitre minuti di singolare canonicità. Uno spaccato che sembra un ponte d’attracco sospeso tra il precedente ‘Aeolian’ e la nuova opera. Qui il collettivo trova tempo e modo per “scaldarsi” per le sorprese che verranno. Le composizioni in questione risultano, pur nella loro singolarità, un canonico allenamento in cui le influenze sospese tra Converge e Meshuggah sono accoppiate con la solita asimmetria propria del combo teutonico. I brani sono nervosi, scostanti, imprevedibili e sempre impostati su livelli di aggressività elevati, che niente tolgono e poco aggiungono a quanto già fatto fino ad ora. Una semplice conferma che, per una band qualunque, sarebbe potuta bastare sia per riguadagnare la fiducia dei vecchi fans che per ricevere una pacca sulla spalla ed applausi dalla critica.
I signori in questione hanno, però, già dimostrato a più riprese di non amare né la mediocrità, né tantomeno la prevedibilità e qui, più forte di prima, decidono di ribadirlo con una prova a cinque stelle. Il sale dell’opera, infatti, arriva nel secondo tomo intitolato ‘Proterozoic’, nel quale, tra scelte spiazzanti, atmosfere eteree ed il solito tasso di follia, i The Ocean stupiscono,turbano e si fanno amare. Dal caos incontrollato di ‘Hadean/Archaean’ si passa ad una pace scostante, apocalittica, dove a vincere è la ricercatezza dei particolari, lo spasmodico rincorrersi di atmosfere distese e la solita complessità strutturale. Oltre allo sludge, all’hardcore, alle tracce di metal, qui c’è molto di più. I musicisti tedeschi trovano il modo per accoppiare il disagio del post-core con la raffinatezza degli archi (ad opera l’orchestra filarmonica Berlinese), il mood grezzo dell’hardcore con una spasmodica ricerca di una suggestione emotiva, delicate melodie ed intrecci vocali perfetti. La band prende alla lettera il proprio status di collettivo e riesce ad ospitare, all’interno dello stesso disco, nove cantanti e numerosi altri guest divisi tra bassisti, chitarristi, pianisti ed i già citati archi. Il risultato è strabiliante, per un contesto che diventa più arioso e complesso nel suo ricorso alla variazione di turno, a massicce dosi di clean vocals che pervadono gli oltre sessanta minuti del lavoro e per il perfetto collante con cui sono uniti pezzi così diversi e stridenti. Una piacevole calma apocalittica, un calderone tanto zeppo quanto controllato a meraviglia, un saggio di gusto che segna il picco più alto della carriera dei The Ocean ed una delle uscite più positive dell’anno appena trascorso.