Ispirazione, entusiasmo e voglia di rimettersi in gioco. Caratteristiche che ai Tea Party non sono mai mancate e, dopo sette uscite discografiche (se si esclude l’esordio autoprodotto), riescono ancora ad essere riproposte con freschezza e naturalezza piuttosto palpabili. La formazione canadese, infatti, facendo perno sulla tradizione di un sound sempre personale ed aperto all’evoluzione riesce a darne una decisa conferma con questo nuovo ‘Seven Circles’.
Ciò a cui si troverà di fronte l’ascoltatore, una volta esauriti i primi assaggi del nuovo nato, sarà un disco più facile ed accessibile dei suoi predecessori che, pur forgiando brani in cui la mano degli autori è ravvisabile a prima vista, si arricchisce di un’anima di piacevole fluibilità sfrontata (nel senso buono) che si rivelerà “croce e delizia” dell’album dei Sette Cerchi.
Sorretti da una produzione a dir poco splendida (ad opera di un “tale” Rob Rock), i tre musicisti regalano un disco in cui le influenze più disparate del panorama rock di sempre si uniscono, collaborano, senza mai risultare invasive o lasciare aloni d’impersonalità. Con pochi, ma talvolta palpabili, dolori, infatti, l’esperienza permette a Martin e soci di unire vecchio e nuovo con lodevole versatilità. Dai richiami di Led Zeppelin e Cult che hanno sempre costituito il tronco solido centrale delle composizioni dei Tea Party si ramificano influenze più disparate che vanno dal rock orecchiabilissimo di “Stargazer”, a rimandi agli Audioslave più tradizionalisti di “Writing’s On The Wall” e “Coming Back Again” passando ai passaggi folk e le melodie orientali di brani come “Luxuria”, senza disprezzare qualche riferimento al post-grunge di qualità. In questo (seppur molto variegato) ordinato marasma di suoni, la band riesce a non smarrire mai il filo conduttore costituito da un’introspettività interpretativa da dieci e lode e da una prova vocale dello stesso Martin che riesce ad essere l’identificativo ed il vero collante di tutti i pezzi proposti.
Un lavoro molto melodico in cui i Tea Party sono riusciti a mostrare ancora una volta una buona personalità che, con i suoi punti deboli (vedi pezzi piuttosto mosci ed un pò stonati come “One Step Closer Away” e “The Watcher” ) ed i suoi spunti positivi, resta un rispettabilissimo testimone dell’inattaccabile ispirazione dei tre “vecchi” canadesi.