I Tomorrow’s Child furono il tipico esempio di band geniale ma sfortunata, promettente e unica ma stroncata dalle assurde “logiche” delle case discografiche.
Nati a San Diego nel 1987, con il loro sound si distinsero subito dalla marea di band glam, street e heavy metal che in quegli anni popolavano i club di Los Angeles, tanto che l’anno successivo si guadagnarono (con la canzone “Walk in the Woods”) l’ambito ruolo di apripista sulla compilation “Street Survivors”, curata da Mike Faley della Metal Blade e comprendente anche nomi come Little Caesar e Bang Tango.
Dopo un periodo di intensa attività live nei locali di L.A., che gli fruttò un consistente successo di pubblico e critica, la band ricevette finalmente una proposta discografica dalla major Arista Records.
Sotto la guida imposta dalla Arista del produttore Jim Cregan (ex-chitarrista di Rod Stewart), i quattro entrarono così in studio. Tuttavia, presto le cose iniziarono ad andare come non dovevano: i primi mix ufficiali risultarono zeppi di tastiere (e la band non aveva un tastierista!), con cori mielosi e poppy, canzoni orribilmente snaturate e prive della loro freschezza originaria.
Triste verità, l’etichetta stava cercando di trasformare i Tomorrow’s Child in qualcosa che non erano nè potevano essere. L’unica alternativa, quindi, fu abbandonare la label e tornare nei club, ricominciando tutto da capo. Purtroppo, proprio quando, dopo oltre un anno di gavetta ed una ulteriore maturazione artistica, la band si ritrovò nuovamente oggetto di grande interesse dei discografici e pareva finalmente sul punto di sfondare, qualcosa si incrinò, e nel 1992 il gruppo si sciolse.
Quello che troviamo su questo album sono nove canzoni autoprodotte dalla band dopo aver abbandonato la Arista (la quale, come se non bastasse, si arrogò i diritti su alcuni dei pezzi migliori del repertorio e ne proibì la pubblicazione su questo cd), più quattro demo scelti dal gruppo e dal giornalista Jim Sutherland, che grazie anche alla Dream Circle Records nel ’93 rese finalmente possibile a tutti ascoltare la musica di questo particolarissimo gruppo.
I Tomorrow’s Child avevano (parafrasando lo stesso Sutherland) un sound etereo, spaziale, un ritmo sensuale ed un gusto drammaticamente romantico che li accompagnava anche nelle loro esibizioni dal vivo, dove il frontman Adam cantava appassionatamente correndo per ogni angolo del locale con delle rose rosse legate attorno al microfono ed il talentuoso quanto misterioso chitarrista Rik Schaffer rimaneva in penombra con il suo impressionante rack di effetti, riversando sul pubblico una cascata di note e suoni sapientemente avvolgenti ed emozionanti.
Unitamente a una sezione ritmica capace di un groove e di una scioltezza che, in tutta onestà, in tanti anni di ascolti mi è capitato raramente di trovare, i Tomorrow’s Child seppero creare un sound personale e molto difficile da definire.
Con ritmiche ed atmosfere a volte ricordanti i Blue Öyster Cult più eterei, melodie e suoni che ammiccano ora ai primissimi Europe ora ai Rush più ariosi, assoli particolari e pieni di gusto, testi in bilico fra un decadente romanticismo e una disillusione nei confronti di una società sempre più cinica e spersonalizzante, la musica dei Tomorrow’s Child è sì generalmente sostenuta e catchy, ma anche notturna, visionaria e dotata di un fascino malinconico ed avvolgente.
Difficile citare un brano in particolare: “Walk in the Woods”, “Building Babylon”, “Ain’t Been Sleepin'”, “Asylum Erotica”, “Suburban Rain” sono solo alcune delle gemme lasciateci in memoria da questo gruppo, un gruppo tanto sfortunato quanto misterioso ed affascinante.