La New Wave Of British Heavy Metal (d’ora in poi userò eventualmente il notissimo acronimo NWOBHM) non fu, come erroneamente viene considerato, un genere musicale, uno stile ben preciso da poter facilmente distinguere, ma piuttosto un movimento musicale che nell’arco di tempo che va circa dal 1979 al 1982 portò alla rinascita del rock duro inglese dopo la grande crisi attraversata in seguito all’esplosione del punk. Iron Maiden, Saxon, Angel Witch, Def Leppard, Tygers Of Pan Tang, Blitzkrieg, Jaguar, Samson, Praying Mantis, Raven, solo per citare quelli noti a tutti, stilisticamente avevano infatti poco in comune, ad eccezione di quella carica che avevano assimilato in qualche modo dal punk, quella voglia insomma di emergere, di esserci ad ogni costo, di gridare al mondo intero la propria voglia di rock.
Hog Thompson, manager dei Tygers fino all’album “The Cage” (1982), sintetizza la mentalità e lo spirito dei gruppi della NWOBHM con queste parole: “Get up on stage and play, you don’t have to be good, just energetic, enthusiastic and aggressive: whack those drums, make that guitar scream, thunder away on the bass and shout as loud as you can to make someone notice you and get a reaction!”, ed i Tygers, i primi sicuramente, sono l’esatta incarnazione di queste parole.
Nati a Whitley Bay tra il 1977 e il 1978 per volere del chitarrista Robb Weir, cominciano presto ad esibirsi con continuità nei pub locali e suscitano l’interesse dell’attentissima Neat Records che nel 1979 pubblica il 7″ “Don’t Touch Me There”. Il successo è notevole e porta la MCA Records a proporre un contratto ai giovani inglesi. Dopo altri due singoli (“Rock ‘N’ Roll Man” e “Suzie Smiled”) arriva il primo album, quel “Wild Cat” che nel giro di una sola settimana proietterà il gruppo nei primi 30 posti delle classifiche britanniche. Come stava già accadendo ad altri gruppi inglesi anche l’heavy metal grezzo ed essenziale dei Tygers, la ruvidità della voce di Jesse Cox, il solismo basilare ma velenoso di Weir stavano cominciando a riscuotere i primi grossi consensi.
Dopo un altro singolo “Euthanasia”, per migliorare la qualità delle loro esibizioni i Tygers decidono di allargare la formazione inserendo un nuovo chitarrista, l’ancora sconosciuto John James Sykes, e si esibiscono per tutto Agosto e Settembre da headliner per supportare al meglio il loro disco. Con l’avvicendamento al microfono di Jesse Cox a vantaggio di Jon Deverill (proveniente dai Persian Risk) la band si ritrova quindi ancora una volta in studio e partorisce quello che viene considerato il capolavoro assoluto del gruppo (nonchè uno dei migliori album di sempre della NWOBHM): “Spellbound”.
Rivoluzionati nella formazione, come abbiamo detto, e conseguentemente anche nel suono, i Tygers appaiono fin dall’aggressione dell’iniziale “Gangland” meno grezzi e ruvidi del precedente lavoro, ma capaci come forse non capiterà loro mai più, se non sporadicamente, di amalgamare alla perfezione rabbia, melodia, tecnica, adrenalina, capacità e sentimento, dando luogo ad una serie di brani ormai divenuti leggendari come “Take It”, “Hellbound”, “Mirror”, “Silver and Gold”, “Tyger Bay” e “Don’t Stop By” che mostrano in maniera indiscutibile il grandissimo potenziale di questa incredibile band e che fanno dell’album un lavoro perfetto, senza cali qualitativi, nei quali spicca non tanto il solismo tutto sommato ancora acerbo, sebbene già di livello superiore, di Sykes quanto piuttosto l’eccezionale songwriting e la grandissima voce di Deverill (ascoltate la splendida “Mirror” per capire di cosa parlo).
Le tigri non torneranno più a ruggire con la stessa continuità e lucidità di questo album, che resta una vera e propria pietra miliare della nostra musica, un album da conservare gelosamente e da amare incondizionatamente per sempre.