“Wolves evolve” è il motto degli Ulver, ed infatti ancora una volta la loro musica ha cambiato pelle. “Shadows Of The Sun”, uscito a qualche anno di distanza dal precedente “Blood Inside”, rispetta il motto e si presenta decisamente diverso da quel disco particolarmente cangiante, risultando invece incentrato su omogenee atmosfere introverse e low-key (l’italiano “sottotono” non suona altrettanto bene…). La nuova fatica della band è quindi un lavoro ripiegato su sè stesso, un insieme di pezzi atmosferici notturni e dilatati in cui la scena è dominata da tastiere/pianoforti, organi, archi, schegge elettroniche e voci dimesse. I pezzi “implodono” più che esplodere ed il dipanarsi delle tracce sembra più un insieme di movimenti che una serie di canzoni: il loro scopo non è tanto narrare una storia, quanto descrivere un ambiente, ricreando così nell’ascoltatore sensazioni più vicine agli ep del silenzio ed alle successive colonne sonore minimaliste che a qualsiasi altro lavoro degli Ulver. “Shadows Of The Sun” risulta perciò un album non per tutti, su questo non c’è dubbio, ma è altrettanto sicuro che chi si lascerà cullare dalle sue suggestioni proverà una delle esperienze musicali più intense di quest’anno (nel caso contrario invece temo che ci si annoierà un po’).
Rygg e compagni sono quindi riusciti ancora nel loro intento, mutando la loro arte in maniera notevole e producendo il lavoro più intimista della loro carriera: un album definibile come “noir” (avvicinano ancora di più a questa definizione diversi momenti caratterizzati da un retrogusto “jazz crepuscolare”), le cui tracce rilassanti ma inquiete sono perfette per essere ascoltate nel cuore della notte, illuminati solamente da una luce soffusa.