Tre figuri che sinceramente non conoscevo minimamente mi hanno regalato una delle più belle sorprese di questi primi mesi del 2002.
Il disco, a dire la verità, è uscito nella seconda metà di ottobre dello scorso anno ma, nonostante avessi letto buone recensioni in rete, non ha ricevuto subito la mia attenzione probabilmente messo in ombra da altre uscite che aspettavo da più tempo o che attendevo con maggiore curiosità.
Non sapendo assolutamente niente degli autori mi sono messo a consultare tutte le fonti possibili scoprendo che gli sconosciuti (per me) Adams Roberts e Shroedel non sono affatto degli emergenti ed inesperti musicisti ma hanno alle spalle varie esperienze e importanti collaborazioni ma, sostanzialmente, un unico comune denominatore: il grande Jimi Jamison (chi pensa di non conoscerlo affatto sappia che probabilmente l’ha già sentito nei Survivor o, ancora meglio, in “I’m Always Here”, sigla della nota serie televisiva Baywatch).
L’album, diciamolo subito, non è assolutamente di facile assimilazione: questo però non significa che sia costituito da brani dalle trame intricate o da soluzioni innovative e per questo un po’ spiazzanti, ma semplicemente che, considerando il genere proposto, non è tra i più immediati e necessita di qualche passaggio supplementare per essere apprezzato meglio nella sua totalità. Come ospiti troviamo Kip Winger, che sostituisce il già citato Jamison impossibilitato a partecipare, come d’accordo, alle registrazioni, e Mickey Thomas degli Starship. Il disco si muove su binari più vicini all’AOR che all’hard rock ma non è mai troppo soft e patinato e la chitarra è sempre molto presente, secondo le direttive, neanche a dirlo, già indicate dai Survivor o, se preferite, dai Giant di “Time To Burn” e dagli Steelhouse Lane di Mike Slamer. Difficile trovare un brano da consigliare, sono tutti molto ben fatti e gradevoli, ma se proprio devo indicare le mie preferite allora scelgo “Love Without A Net” e “Come Tomorrow” due brani perfetti, diretti, orecchiabili ed eseguiti magistralmente. Due le ballad, “Hold On” e “I Will Live”, che non spezzano assolutamente l’impatto complessivo del disco e proiettano Jeff Adams tra le migliori voci ascoltate negli ultimi tempi.
Un ottimo album dunque che non mi stupirei assolutamente di ritrovare indicato tra le migliori uscite nel suo genere dello scorso anno e che consiglio caldamente, anche se un po’ in ritardo, a tutti gli amanti dell’AOR più chitarroso e sostenuto.