Finalmente un disco emocore con un po’ di originalità! Nulla di sconvolgente, sia chiaro, però con “Define The Great Line” gli Underoath tentano di inserire qualche elemento nuovo alla formula “screamo” ormai consolidata su cui si sono basati tanti dischi di tante band da un bel po’ di tempo a questa parte. Questi ragazzi infatti, dopo aver aperto il disco con una manciata di pezzi ben fatti ma tutto sommato abbastanza tipici del genere (nonostante la presenza di alcuni elementi elettronici e di alcune aperture atmosferiche, presenti soprattutto in “There could be nothing after this”, che danno già l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di diverso dal solito disco “screamo”), infilano “Salmarnir”, una composizione che deve molto al post rock, dove su una base elettronica con del leggero rumorismo si staglia una voce che declama, almeno stando a quanto ho letto in giro, dei pezzi della Bibba in russo (gli Underoath sono cristiani e non lo nascondono). “Salmarnir” in sè e per sè non sarebbe nemmeno nulla di particolare, tuttavia un brano di questo tipo, inserito in questo contesto, fa la sua scena, se poi si considera che nei pezzi seguenti il disco prende una piega tutto sommato inaspettata e i brani successivi sporcano l’emocore con influenze postrock ed un tocco di psichedelia (“Returning empty handed” e la notevole “Casting such a thin shadow”, la prima più aggressiva e la seconda invece più ipnotica, in certi momenti mi ha ricordato i Dredg), allora il tutto assume un valore diverso. Lo sviluppo del disco procede poi tra brani che miscelano questi elementi, alleggerendoli e tornando su canoni più standard, in maniera diversa (“Moving for the sake of motion” e “Writing on the walls”), per poi tornare a pestare in maniera abbastanza violenta avvicinandosi alla fine del disco (“Everyone looks so good from here”), tuttavia la conclusiva “To whom it may concern”, soprattutto grazie alla sua chiusura avvolgente ed ipnotica ed al suo “andamento sghembo”, ci mostra come la band tenti fino all’ultimo di aggiungere qualcosa ad una formula ormai fin troppo abusata.
“Define The Great Line” è quindi un disco piuttosto interessante al quale gli appassionati dello screamo/emocore/metalcore possono dedicare attenzione (ho davvero apprezzato il tentativo di inserire qualche elemento nuovo, senza contare che anche i brani più classici, come “In regards to myself”, non sono affatto male), poi chi non apprezza il genere può starne tranquillamente alla larga, tuttavia va sottolineato quanto il potenziale dell’ultima fatica degli Underoath sia notevole, soprattutto considerando che la loro proposta è fruibile da parte di un pubblico piuttosto vasto.