Gli Urban Fight sono un gruppo pretenzioso, sia nella forma che nella sostanza. Colpisce anzitutto l’assoluta professionalità delle confezione: booklet degno delle migliori produzioni major, con un impatto grafico di sicuro effetto a livello di serigrafia e impostazione cromatica. Poi c’è la musica: un hard rock dalle tenui tinte progressive e dark, che affonda ineluttabilmente nella rivoluzione musicale degli anni settanta. Attempati nostalgici dei bei tempi dei Purple e degli Zep..? Nulla di più lontano dalla realtà, credetemi. Sono le tematiche affrontate nelle liriche a rendere “LU il viandante” un disco del tutto attuale. Un concept che si sviluppa attraverso otto brani che sono istantanee di una pellicola dalla patina scurissima. Curiosa la presenza del leggendario bollino “Parental Advisory: Explicit Content” sul retro della copertina. E non è del tutto messo a caso, a ben pensarci. Nel lavoro degli Urban Fight, a grandi linee, si narra la storia di un essere umano che trova nel suicidio l’unica soluzione alle ignomie di un territorio estraneo e minaccioso. Attitudine nichilista applicata ad un impianto sonoro che spazia dai primi (straordinari) Litfiba ai più freschi (ma altrettanto validi) Il Segno del Comando (progetto dark-prog nato da una costola dei Malombra). Come se i Negazione si mettessero a coverizzare brani degli Uriah Heep. “Ue-Tsi” e “Ming-I” sono sintesi del concetto Urban Fight: strutture intricate ma di grande impatto, chitarre e arrangiamenti tastieristici sempre in evidenza, una voce che trasuda disillusione e cinismo. Tutto perfetto? Non proprio. L’omogeneità dei brani è talvolta un’arma a doppio taglio: se non ci sono evidenti cadute di tono, mancano altresì picchi e veri propri. E talvolta il tono declamatorio dei pezzi sfiora l’autocelebrazione: la totale mancanza di senso dell’umorismo rischia di annoiare. Del resto anche Blackmore sorride, ogni tanto.