Il secondo disco dei britannici Uriah Heep arriva dopo poco più di otto mesi dall’esordio, rappresentato da “Very ‘eavy… Very ‘umble…”, e sancisce l’entrata del gruppo fra i grandi dell’hard rock mondiale. In un periodo cosi ricco di nuovi grandi gruppi Mick Box e soci riuscirono a ritagliarsi il loro spazio grazie ad un’interpretazione personale e riuscita dell’hard rock settantiano e a convincere definitivamente quella critica che, soprattutto inizialmente ed in patria, non li aveva accolti nel migliore dei modi.
“Salisbury” rappresenta una pietra miliare dell’hard rock di tutti i tempi, un disco dall’impatto unico e dalle tante sfaccettature, denso ed emozionante, duro come un macigno ma anche etereo e magico come solo il gruppo inglese ha saputo fare. Parlare di un disco di questo livello senza cadere nella facile retorica e’ compito arduo, ma come fare ad essere freddi di fronte ad un capolavoro del genere?
Il disco si apre con la canzone più maschia delle sei presenti (nell’edizione originale), ovvero quella “Bird Of Prey” che rimane uno dei brani più duri scritti da Box e soci nella loro più che trentennale carriera, un brano magnifico che cattura l’essenza hard rock del gruppo britannico, potenza e ritmi sincopati a fare da base alla voce del compianto e grandissimo David Byron, una delle forze del gruppo, un qualcosa di difficilmente esplicabile, capace di vocalizzi soavi e leggeri e di un’estensione di altissimo livello. Questa particolare varietà di Byron è evidenziata nel secondo brano del disco, l’altra faccia di “Salisbury” sarebbe da dire, ovvero la sognante “The Park”, un brano anch’esso memorabile ma dall’approccio opposto a quello d’apertura. “The Park” è infatti un brano delicato e leggero, quasi a lenire l’aggressività della precedente canzone. A fare da intramezzo fra questa ballata e il capolavoro in senso assoluto del disco e, a mio avviso, della carriera degli Uriah Heep, arriva “Time To Live”, in grado comunque di mantenere altissimo il livello qualitativo e compositivo del disco.
Giunge quella che potrebbe essere considerata come “LA” canzone degli Uriah Heep (assieme alla spettacolare “July Morning” e a “The Wizard” forse), uno di quei brani meritevoli dell’appellativo di immortale rock anthem: “Lady In Black” va oltre ogni descrizione, un brano fantastico scritto ed interpretato da Ken Hensley, uno dei più influenti ed importanti organisti/tastieristi dell’epoca d’oro del rock, un crescendo emotivo, musicale e ritmico grandioso, chitarre che si intrecciano creando la base ideale per le liriche perfette di Hensley. C’è’ poco altro da dire se non invitare all’ascolto di questo brano visto che descriverlo è una di quelle imprese perse in partenza.
Il “lato B” si apre con “High Priestess”, che anticipa la lunga, spettacolare, suite finale che da il titolo al disco, un lunghissimo viaggio musicale alla scoperta di questo grandissimo gruppo.
“Salisbury” insomma è un disco dalla storia affascinante, un disco che tuttora ha la capacità di essere influente sui nuovi musicisti alla ricerca di ispirazione e di catturare nuovi estimatori. Questo disco non dovrebbe mancare nella discoteca di nessun appassionato del rock e dei suoi derivati.