E va bene, lo ammetto: mi ero proposto per recensire questo album dei nostrani Ver Sacrum perchè la copertina mi ispirava molto folk metal… E allora, tutto tranquillo e rilassato, mi siedo sul divano dopo una giornata di lavoro, inserisco il cd nel lettore e via… le autoritarie e divine voci di un anfitrione mi avviano alla conoscenza del popolo etrusco, alla cui epopea i toscani hanno dedicato questo album. Poi una botta secca, come una cinghiata in faccia, mi risveglia: questo è black metal!
I nostri quattro paladini infatti sono dediti ad un back metal dalle forti influenze thrash, deciso, con pochi fronzoli, ma che alterna song puramente black scandinavo ad altre più vicine al metal sinfonico, in cui non si ergono a protagonisti solo una doppia cassa imperante e precisa come solo un mitragliatore militare può essere e una voce stridula demoniaca, ma salgono in cattedra a turno anche le chitarre, che si districano in assoli ed accompagnamenti intriganti e addirittura orecchiabili, tanto da rendere tutti i brani riconoscibili già dopo pochissimi ascolti.
E così si crea un mix che spazia dai Burzum ai Dimmu Borgir, lasciandosi trascinare fino ai primi Annihilator, in un incedere mai pacchiano e noioso,con una vena personale che rimane, pur coperta spesso e volentieri dall’aggressività generale, distinguibile e evidente.
L’opener è brano black nudo e crudo, con batteria in doppia cassa perpetua. Il primo sussulto reale ci arriva con “Farewell By The Lightning”, che ci fa capire che non è la solita copia spudorata dei maestri della musica oscura del nord quello che stiamo ascoltando, ma un disco a suo modo unico.
Si erge subito, tra le considerazioni che possono essere fatte su questo lavoro, la valutazione più che positiva dell’operato vocale di Filippo “Veltha” Piermattei, che passa apparentemente senza alcuna difficoltà e con grande versatilità da tonalità più guttuali ad altre decisamente più screaming, fino alla voce clean, donando vita e luce propria ad ogni brano, ben sorretto dagli altri tre componenti, che si mostrano decisamente preparati tecnicamente, e che sorprendono quasi in song quali “Ceremony Of Fire “, forse il migliore specchio delle abilità e delle idee dei nostri, che in questa song ricavano assoli di drums, di chitarra, diverse tonalità di voce, e tanti cambi di ritmo, con l’arrivo di una seconda voce ad interagire con la prima, tra una sferzata di speed e un rallentamento malato e grave.
Insomma, diciamola tutta, per molti di noi gli Etruschi, che fino ad ora altro non erano che reminescienze dei lontani giorni di scuola, non saranno mai stati tanto interessanti.
A margine di questa recensione anche un plauso al lavoro grafico e di produzione, che hanno contribuito certamente a dare quel tocco in più al disco, facendolo davvero ergere al di sopra della miriade di dischi di debutto un po’ caserecci che invadono il mercato e la nostra redazione. Indubbiamente qui i lavori sono stati fatti come si deve, con cura, attenzione e a mio modo di vedere anche con idee molto molto precise su cosa si “voleva fare da grandi”.
E allora gustiamoci la storia come raramente ci era capitato di fare, soprattutto se il professore era nostrano! E poi permettetemi un sorriso soddisfatto sul finire: il mondo metal in Italia sta davvero danto buoni frutti negli ultimi tempi. Speriamo questo sia solo l’inizio!

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