La pubblicazione di un album dei Voivod è sempre un evento importante per l’universo metal.
Storicamente considerata una delle band più sottovalutate della storia del rock, tanto adorata dai critici “meno allineati” quanto prosaicamente snobbata dal pubblico “più ortodosso”, la creatura di Snake e Piggy porta avanti il proprio credo artistico (incurante di qualsiasi tipo di voce di corridoio) da oltre un ventennio.
Il 2003 vede il quartetto canadese tornare con un lavoro che è una sorta di punto di arrivo e di ripartenza, la sublimazione di uno stile sempre e comunque del tutto autoctono. Non che i Voivod abbiano cambiato formula, solo si rivelano dei compositori maturi e (relativamente) austeri.
Il retaggio thrash/punk degli esordi si avverte soprattutto nell’indiavolato drumming di Michael Langevin, che assieme all’ex-Metallica Jason Newsted forgia una sezione ritmica di tutto rispetto (emblematica “Real Again”, hardcore trasversale dal tiro micidiale), ma il tutto è incanalato su binari classicamente rock, dove a fare il bello e cattivo tempo è il timbro cinico e sgraziato di Snake (sorprendentemente a proprio agio su “We Carry On”, manifesto del nuovo Voivod-pensiero, ossia un hard-rock di grande impatto e sarcasmo).
“The Multiverse” e “Les Cigares Volants”, con la loro struttura intricata e labirintica, riportano la mente a “Nothingface”, aprono gli scenari immaginifici di spazi siderali e vuoti cosmici, sono palese dimostrazione che la grande intelligenza di questi musicisti non è da mettere in discussione in nessun caso.
Rock sui generis, progressive, psichedelia, thrash-metal, attitudine politicamente scorretta: tutte caratteristiche che i Voivod elevano all’ennesima potenza creando un metal mai scontato, ricco di idee e fresca ispirazione.
Non è il loro miglior disco, non è poi così distante da “Angel Rat”, non li farà esplodere a livello di notorietà (nonostante la presenza dell’ex-horseman), ma è un pur sempre un disco dalla qualità altamente sopra la media.
Nel 2003 i Voivod ritornano e noi li accogliamo a braccia aperte, perché abbiamo ancora bisogno di loro.