In ambito black folk, Vintersorg è giustamente ritenuto un’istituzione grazie ai riconoscimenti ottenuti con i Borknagar e soprattutto con i suoi lavori solisti (gli ultimi due incredibilmente ispirati). Pochi, però, sanno che l’artista norvegese si è ritagliato una parentesi tutta personale all’interno della sperimentazione progressive rock, giunta per l’occasione alla seconda esperienza in studio con questo “Imaginative”. Il progetto si intitola Waterclime e, come al solito, vede impegnato lo stesso Vintersorg nella stesura dei brani e delle vocals, dimostrando un’apertura mentale nei confronti della musica (e degli strumenti) davvero fuori dall’ordinario.
Nel suo ultimo e straordinario “Solens Rötter”, il musicista norvegese aveva fatto un buon uso della componente prog, un concetto che non può essere esteso a questo “Imaginative” poiché, in questa sede, siamo davanti ad un prodotto in tutto e per tutto progressive rock, ricco di sfumature folk ed addirittura jazz. Uno spazio di pensiero e di azione che lo allontana, almeno fino al prossimo lavoro solista, dai lidi di quel black folk di stampo avantgard che ne galvanizza le qualità di fondo, qui sfruttate in maniera totalmente diversa ed inaspettata. A livello vocale, Vintersorg è il solito maestro di precisione sia nella stesura delle vocals che nell’interpretazione sentita di quanto scritto, andando a confezionare l’ennesima prestazione maiuscola da questo punto di vista. Sul versante musicale le cose si complicano, nel senso che la proposta dei Waterclime è davvero ostica da assorbire durante i primi ascolti e nonostante le abbondanti dosi di melodia di cui si caratterizza. Quello che rende scorbutico questo approccio è un songwriting estremamente articolato ed imprevedibile, con una sezione ritmica che spesso viaggia sui territori della fuzion jazz e che lascia pochi appigli stabili agli ascoltatori. Detto questo, non resta che raggiungere la quintessenza di “Imaginative” in maniera laboriosa, ascoltando più volte gli stessi brani sino a farne propria ogni singola sfaccettatura. “Vision Or Void”, che apre il disco con una sorta di manifesto filosofico dell’artista, ci introduce in questa spirale di genialità catapultando ogni cosa intorno a sentori anche ‘70s nei rimandi musicali. Per i restanti quarantacinque minuti, ogni brano non sarà mai uguale (o somigliante) a nessun altro, scavando un solco profondo tra la rappresentazione unificata degli stessi e la loro libera ed incontrovertibile anarchia di fondo. Spesso si rischia di perdere la bussola, probabilmente Vintersorg l’ha anche persa durante la stesura di questo lavoro ed ha sprigionato il suo ego nella maniera più totalizzante e spontanea possibile. Sta a voi raccogliere il testimone di questo grande (e spesso misconosciuto) artista norvegese.