In ambito musicale capita spesso di imbattersi in talenti che, per eccessiva devozione ai propri ascolti, poco coraggio o un’identità non ancora ben delineata, finiscono per soffocare capacità chiaramente tangibili in un mare di mediocrità. E’ questo il caso dei Whenlovefinishes che, con questo loro debutto, si limitano a dosare buone idee, a sprazzi ed in maniera frammentaria, che vanno a perdersi e confondersi tra troppi riferimenti ed una certa sufficienza.
A cavallo tra la fortissima ondata metalcore e band dalla chiara matrice “etnica” come Soulfly ed Ektomorf il prodotto dei nostri non riesce, se non in troppo sporadici episodi, a centrare l’obiettivo di differenziarsi dai più. I motivi? Piuttosto variegati. In primis una produzione eccessivamente deficitaria che si pone anche sotto lo standard delle uscite autoprodotte più dignitose: suoni ovattati, ritmi sgonfi e voce che non arriva lontana perdendo potenza.
In un contesto del genere anche un capolavoro dell’estremo, cosa da cui “Destruction Technique Of An Established Order” è piuttosto lontano, verrebbe deficitato perdendo grande valore. Pur volendo chiudere gli occhi sulla qualità dei suoni, però, il quadro migliora non di molto. I brani, tutti molto violenti e tirati, non fanno molto per nascondere scomode influenze che, pesanti come macigni, intaccano qualche raro sussulto a cui la band avrebbe dovuto dare più credito e peso. Sussulti materializzati da un uso di samples, effetti ed inserti alternativi che, in quei rari casi in cui sono parte integrante del songwriting e non un contorno che allunga il brodo, donano personalità ed un profilo ai pezzi. Non è un caso che in quei cinquanta minuti della durata del disco, risultanti davvero troppi per un album del genere, ci si immerge in un apparente mare si monotonìa spezzato solo da rare occasioni in cui la band osa con elettronica, effetti e persino voci femminili usate con intelligenza e parsimonia. Tutto il resto rimane, purtroppo per i ragazzi e per il sudore senz’altro versato nell’opera, lavoro troppo ordinario e noia dominante mai equilibrata dai pochi spunti già citati.
Un artwork minimale ed una pronuncia della lingua inglese da parte del frontman davvero migliorabile, pur risultando semplici particolari, affondano un lavoro di buone intenzioni e capacità mal sfruttate. Capacità, unite ad idee, inopinabili che non possono rimanere espresse a singhiozzi e che ci si augura di ritrovare, magari con una buona dosa di coraggio ed indipendenza in più, nel successore di “Destruction Technique Of An Established Order”. Per ora, evitabili senza danni.