Eccolo! E’ mio! Ho aspettato per tanti anni il seguito a quello strepitoso “Live…In The Heart Of The City” ed ora eccolo qui tra le mie mani. Anche se scalpito per ascoltarlo voglio prolungare il più possibile il momento e godermi come non mai questo doppio CD. Leggo la tracklist… beh, mancano alcuni pezzi di storia mica da poco, non ci sono “Blindman”, “Love Hunter”, “Trouble”… anche “Sailing Ships”… manca pure “Mistreated”… ma non doveva essere una sorta di raccolta di tutti i grandi classici in chiave live? Vabbè, ci sono però ben quattro inediti, e poi con tutte le belle pagine che hanno scritto qualche assenza illustre doveva pur esserci, pazienza. Mettiamolo su, via, che con quella superformazione lì mi aspettano sicuramente quasi due ore di puro sollazzo… e mi viene facile facile anche la rima per continuare con questa pseudocronaca ma per decenza preferisco evitare.
Sarò sintetico: i Whitesnake che io amo non esistono più, finiti, andati, kaputt. Al loro posto c’è un gruppo che vorrebbe in qualche modo essere paragonato a quel magico nome ma che non ha una briciola della classe del gruppo anglosassone degli anni a cavallo tra i settanta e gli ottanta. Il motivo? Certamente non è da cercare singolarmente tra i nomi dei componenti (anche se, giusto per citare qualcuno, “è la somma che fa il totale”), nè da imputare solamente a fattori temporali e di mercato: semplicemente manca quella scintilla e quel coinvolgimento emotivo che era invece caratteristico del periodo Marsden-Moody. Certo il piedino si muove, e si segue e si canticchia anche, ma è tutto un riflesso condizionato, una sorta di obbligo inconscio nei confronti dei capolavori che il gruppo ci snocciola, ed è più per speranza che le cose possano improvvisamente e miracolosamente cambiare, che per approvazione e piacere, che si arriva lentamente alla fine, controllando con frequenza sempre maggiore a che punto si sia arrivati e quanto ancora manchi al termine… e stiamo parlando di un live, di uno dei più grandi gruppi della storia dell’hard rock… ma non c’è passione, non c’è sentimento, solo routine e mestiere, e non mi basta, come non penso dovrebbe bastare a nessuno di voi.
E che quanto appena detto sia evidente, ma anche che la vena creativa di Coverdale e soci sia ormai alla frutta, è ancora più innegabile dopo l’ascolto dei quattro inediti in coda al disco, che dovrebbero farci saltare sulla sedia e contare i giorni che ci separano dal prossimo disco ma che, ad eccezione forse della sola “If You Want Me (I’ll Come Running)” si dimostrano poca cosa, mostrando un un gruppo come tanti altri e un cantante irriconoscibile, sempre più lontano da se stesso e sempre più tendente, gli piaccia o meno sentirselo dire, al connazionale Plant.
“Live…In The Shadows Of The Blues” avrà sicuramente consensi e riconoscimenti, per alcuni sarà bellissimo e per altri la molla per approfondire meglio la storia dei Whitesnake, per me resta un disco francamente evitabile. Solo per i fan del “nuovo” corso dei Whitesnake (cioè dal 1987 ad oggi).