Devo essere onesto era da un bel po’ di tempo che non ascoltavo Malmsteen, personaggio che fa sempre discutere di sè nel bene e nel male, che vive ripensando continuamente ai fasti di un tempo e al periodo in cui aveva una grossa etichetta alle spalle.
Non è stata quindi una sorpresa notare che l’ex talentuoso chitarrista si sia ormai ridotto a pubblicare album che suonano quasi da demo, oltre che producendoli anche autopubblicandoli presso la sua nuova etichetta che caso vuole si chiama Rising Force Records.
Come volevasi dimostrare il nuovo lavoro dal titolo evocativo di Perpetual Flame segna una continua e imperterrita volontà di Malmsteen a ripresentare sempre gli stessi assoli e stessi riff rendendosi a tratti noioso.
L’unica chicca degli album di Malmsteen è quella di avere sempre musicisti diversi che rendono un po’ più personale la sua musica, come in queste nuove dodici tracce impreziosite dalla presenza del sempre bravo Tim Owens.
Nonostante la poca ispirazione Perpetual Flame contiene però dei buoni brani, del resto Malmsteen non è un novellino, che riescono a interessare l’ascoltatore più nelle parti ritmiche che solistiche, in quanto queste ultime sono un mero sfoggio di velocità esecutiva di note, per essere più precisi sempre delle stesse scale. E’ inutile ripetere all’infinito sempre e solo una manciata di note, megliio sarebbe concentrarsi di più sulla melodia e incisività dei pezzi. Il nostro può essere paragonato a quei giocolieri che imparato un esercizio non si impegnano più ad inventarne di nuovi ma ripetono sempre quello che sanno fare.
Purtroppo per lui, come già detto, l’album è sprovvisto di una seria produzione che mina notevolmente l’ascolto di Perpetual Flame rendendolo quasi inascoltabile. Peccato veramente.